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"Girone ostaggio degli indiani. A rischio la salute di Latorre"

L'accusa: "Non sono stati incriminati di alcun reato. E l'India disprezza il giusto processo"

"Girone ostaggio degli indiani. A rischio la salute di Latorre"

Per l'Italia il marò Salvatore Girone è «ostaggio» dell'India, la salute dell'altro fuciliere di Marina, Massimiliano Latorre «è a rischio» se tornasse a Delhi, che «viola i diritti fondamentali» dei nostri due militari. L'India reagisce a muso duro parlando di «oltraggio» e sostenendo che «la vita (di Girone, nda) a Delhi è confortevole». Non solo: bolla i marò come «assassini dei due pescatori indiani» uccisi in altro mare nel 2012. Tutto scritto nero su bianco nelle 27 pagine italiane della richiesta di «misure provvisorie» al Tribunale del mare di Amburgo per sospendere l'odissea giudiziaria indiana in attesa dell'arbitrato. E le 70 cartelle di piccata replica degli indiani, che contestano addirittura la giurisdizione del Tribunale

Finalmente l'Italia comincia a parlare chiaro: «In mancanza di un capo d'accusa, le restrizioni alla libertà» dei due fucilieri e la «durata» sono «arbitrarie e ingiustificabili», con possibili «conseguenze irreparabili su salute e benessere», costituendo perciò «una violazione dei loro diritti fondamentali». Secondo Roma «la descrizione del sergente Girone come un “ostaggio” è appropriata». La presenza del marò a Delhi è per lo stesso ministro dell'Interno indiano «una garanzia che Latorre tornerà in India dall'Italia» dove è in convalescenza.

Per questo Girone viene «trattato come un ostaggio, costretto a restare in India nonostante non sia stato ancora incriminato». Sull'arbitrato non ci sono più dubbi. «Nonostante gli sforzi dell'Italia, le prospettive per una soluzione politica negoziata sono ormai svanite - si legge nel documento -. Dopo un lungo periodo di tempo e nel contesto delle restrizioni ingiustificate alla libertà e movimento di due pubblici ufficiali dello Stato italiano, la situazione ha raggiunto un livello di urgenza critica». E adesso l'Italia denuncia chiaramente l'odissea di Delhi: i fucilieri di Marina «sono soggetti alla custodia delle Corti indiane da tre anni e mezzo senza essere stati incriminati di alcun reato». Per gli italiani l'India ha «arrestato illegalmente» i marò oltre ad aver «violato la libertà di navigazione» del nostro mercantile Enrica Lexie difeso dai fucilieri del San Marco ed «esercitato la sua giurisdizione» nonostante l'incidente sia avvenuto al di fuori della acque territoriali. Nel documento l'Italia chiede «la giurisdizione esclusiva sull'incidente dell'Enrica Lexie e sui marò» ed il rispetto «del diritto all'immunità per i propri uomini». Al documento sono allegati dei referti medici secretati relativi a Latorre, Girone e relazioni di neuropsichiatri infantili sui danni psicologici di riflesso subito dalla prole dei due fucilieri di Marina.

L'India contrattacca con la baionetta innestata. «Definire Girone un ostaggio è inappropriato e offensivo» si legge nel documento che respinge tutte le richieste italiane. E si spinge oltre riferendosi al marò ancora a Delhi: «La restrizione della sua libertà è un trattamento lieve per un individuo che ha sparato ed ucciso un innocente pescatore». Per dire no al ritorno in patria del marò gli indiani sostengono che «Girone non può lamentarsi della sua permanenza a Delhi. Vive nel confort nella residenza dell'ambasciatore italiano e sembra godere di una vita quieta e comoda».

L'aspetto più grave è la condanna senza appello e senza processo dei due marò. Secondo Delhi il caso, ancora da provare, è già risolto. Si tratta «dell'omicidio di due pescatori da parte dei due marines italiani a bordo dell'Enrica Lexie». E ancora con incrollabile certezza: «Hanno usato i loro fucili automatici contro il St. Anthony (il peschereccio indiano delle vittime nda) senza alcun avvertimento (...) un pescatore è stato colpito in testa ed un altro allo stomaco». L'accusa più infamante è riportata a pagina 14: «Non è vero, come sostengono i marines accusati, di aver avvistato sei uomini armati a bordo del St. Anthony con una mail creata come copertura per giustificare la loro azione». A riguardo vengono citate le testimonianze di alcuni membri indiani dell'equipaggio, Sahil Gupta, Victor James Mandley Samson e pure del comandante di nave Lexie, Umberto Vitelli.

L'incidente è avvenuto in acque che l'India considera «Zona economica esclusiva», dove esercitare la propria giurisdizione. Secondo Delhi la descrizione dei fatti dell'Italia «è breve e semplice quanto fuorviante». Nostra anche la colpa del lungo tempo passato senza arrivare ad un processo grazie alle «tattiche dilatorie» italiane. Da parte indiana «non c'è stato alcun sotterfugio o coercizione» ad attirare nave Lexie in porto e ci prendono in giro pure «sulle richieste “compassionevoli” dell'Italia» per far tornare in patria Girone e Latorre.

Nelle conclusioni del capitolo 3 sull'«inamissibilità della richiesta italiana per le misure provvisorie» l'ennesima stoccata.

«Il fatto che l'Italia ci abbia messo oltre tre anni» per appellarsi «all'arbitrato attesta la mancanza di urgenza» sul caso marò.

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