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In 8mila fuori dalle prigioni: 700mila in totale

Tripoli pronta a spalancare le porte: «Profughi usati come arma di pressione suul'Italia»

In 8mila fuori dalle prigioni: 700mila in totale

Il governo di Tripoli è pronto a spalancare le porte dei centri di detenzione liberando 8mila migranti, che vorranno venire tutti in Italia. Il problema vero è che rappresentano solo l'1% dei quasi 700mila disperati in tutta la Libia, 110mila solo nell'area di Tripoli. E pure loro sognano l'Italia senza rendersi conto che è un miraggio e non l'Eldorado.

I migranti sono diventati carne da cannone e propaganda nella guerra civile in Libia. «Annunciare la liberazione dei migranti, ma anche il bombardamento che ha colpito il centro di detenzione di Tajura servono per usare la loro pelle come arma di pressione soprattutto sull'Italia» spiega una fonte de il Giornale in prima linea a Tripoli. La dimenticata guerra civile in Libia riappare nello scontro politico nostrano solo quando si parla di migranti. Non a caso ieri uno dei generali di Haftar, neanche fosse un portavoce delle Ong, ha attaccato duramente «le politiche razziste» del ministro dell'Interno, Matteo Salvini sui migranti. L'obiettivo è politico: Salvini ha appena incontrato a Milano il premier libico Fayez el Serraj e appoggia a spada tratta il governo di Tripoli, a patto che fermi i migranti. La «boutade» di aprire i centri serve a ingraziarsi la comunità internazionale.

Quelli rinchiusi nell'area di Tripoli, dove si combatte, sono oltre 3.400, secondo i dati dell'Oim, costola dell'Onu. I centri di detenzione monitorati dall'Organizzazione mondiale delle migrazioni (Oim) sono 26 disseminati soprattutto nella Libia occidentale. E non sempre nelle zone sotto il controllo del governo Serraj riconosciuto dall'Onu. Ieri il portavoce di Haftar ha annunciato che pure loro sarebbero disposti a far liberare i migranti. Anche se venissero rilasciati tutti e 8mila sarebbero sempre pochi rispetto alla grande massa presente nel Paese. Nella capitale incontri quotidianamente gruppetti di migranti in determinate piazze, sotto i cavalcavia o agli incroci principali, che cercano un ingaggio quotidiano dai libici per tirare avanti. A Tripoli sono 110mila, quasi tutti liberi. In gran parte si tratta di maschi adulti provenienti dal Niger, Egitto, Ciad, Sudan, Camerun. Tutte nazionalità, a parte singoli casi, che difficilmente possono aspirare ad ottenere l'asilo politico o la protezione umanitaria in Italia. Secondo i censimenti Onu le donne, più vulnerabili a vessazioni sessuali, sono il 13% e i minori il 9%.

E poi ci sono almeno 5mila migranti, ma altre fonti raddoppiano questo numero, nei centri illegali gestiti da milizie senza scrupoli o direttamente dai trafficanti di uomini. Questi sono i peggiori gironi dell'inferno libico dove i prigionieri vengono picchiati in diretta telefonica con i familiari per ottenere più soldi oppure torturati o bruciati vivi. L'Onu ha registrato in Libia 666.717 migranti, ma nel 2019 è riuscito a rimpatriare appena 4.829 persone. La stragrande maggioranza dei detenuti nei centri governativi piuttosto che rimanere rinchiuso vorrebbe tornare subito a casa. Il fronte del mare, per ora, registra appena 2160 migranti sbarcati in Italia. E la Guardia costiera libica ha riportato indietro quasi 3mila persone partite sui gommoni dall'inizio dell'anno. Un'altra emergenza provocata dal conflitto è il dato Onu di 172mila sfollati libici, in gran parte provocati dalla battaglia di Tripoli scoppiata in aprile.

Per ora sono rari quelli che se ne vanno via mare, ma se la guerra continuerà a lungo inasprendosi potrebbero fuggire in massa e avrebbero tutti diritto all'asilo.

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