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Adesso Renzi tradisce anche Tsipras

Il premier: «Opportuna la mossa di Draghi di chiudere i rubinetti ad Atene». Ma tre giorni fa: «Appoggerò ovunque Syriza»

Adesso Renzi tradisce anche Tsipras

«Finchè la Bce non ci separi». Nel patto suggellato, appena martedì scorso, tra Matteo Renzi e Alexis Tsipras c'era evidentemente questa clausola nascosta. È bastata infatti un'alzata di sopracciglio dell'Eurotower, con quel «no Troika, no party» sbattuto in faccia ai greci, per sciogliere l'unione e far cambiare idea al nostro premier: il «difenderemo Atene in ogni sede», si è tramutato ieri in «la decisione della Banca centrale europea sulla Grecia è legittima e opportuna». Il dietrofront di Renzi, d'altra parte, corrisponde a un cambio di mood collettivo verso il neo governo ellenico. Dopo le pacche sulla spalle, i sorrisi a profusione e le passeggiatine à la Peynet tra il leader di Syriza e il numero uno dell'Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, la ricreazione sembra finita. Ora il gioco si fa duro, da entrambi i versanti. Non molla Tsipras: «La troika è completamente finita. La democrazia greca non intende ricattare nessuno e non può essere ricattata». Non si sposta di un millimetro la Germania: Atene deve affrontare i problemi «con le tre istituzioni con cui ha affrontato il programma: la Bce, la Commissione Ue e il Fmi». E proprio il Fondo monetario richiama all'ordine il leader ellenico: «L'accordo sul debito resta, avanti col programma».

Normale confronto dialettico, forse, all'interno di un negoziato che non ha appena preso le mosse. I mercati lo sapevano, e dopo la sbornia rialzista dei giorni scorsi generata dal clima da «volemose bene» hanno tirato i remi in barca, mostrando comunque una certa compostezza. Niente panico: neppure sul mercato greco, capace di correggere in corsa lo scivolone di oltre il 9% della mattinata in un -3,37% finale, mentre Milano ha limitato i danni con una flessione dello 0,59%. Flessioni tutto sommato fisiologiche, probabilmente legate a una lettura meno emotiva della decisione con cui la Bce, nella serata di mercoledì, ha deciso di non accettare più, a partire dall'11 febbraio, i Sirtaki-bond come garanzia per i suoi prestiti. Sotto un profilo strettamente tecnico, quello dell'istituto guidato da Mario Draghi è stato un atto dovuto: l'estensione della deroga era infatti subordinata al rinnovo dell'intesa con la Troika, un percorso che Atene non intende più seguire. Dal punto di vista politico, due sono le possibili interpretazioni: o l'Eurotower ha voluto spaventare la Grecia, mettendola di fronte al rischio di far default; oppure ha inteso far pressioni sull'Eurogruppo, che si riunirà mercoledì prossimo.

Francoforte ha scelto la linea dura, ma non ha (per ora) affondato tutto il coltello lasciando aperto il canale della liquidità di emergenza assicurata dall'Ela, la bombola di ossigeno che tiene in vita le banche elleniche. Il giornale tedesco Die Welt ha tra l'altro rivelato ieri che la Bce ha concordato di trasferire alle banche greche circa 60 miliardi di euro attraverso l'Ela.

Se così fosse, sarebbe l'ultimo sostegno offerto prima della possibile bancarotta.

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