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Alfano, ministro ai flop: scandali, sbarchi e un partito allo sbando

Non c'è pace per Angelino al Viminale: dopo la Shalabayeva e il caos-migranti, pure la sparatoria a Palazzo di Giustizia a Milano

Alfano, ministro ai flop: scandali, sbarchi e un partito allo sbando

Roma«Alfano, dimettiti!». Lo urlava ieri il grillino Di Battista, lo ripete quotidianamente il leader della Lega Nord, Matteo Salvini, e di tanto in tanto ci prova pure qualche esponente del Pd. Ma poi non succede nulla. Troppo prezioso il ministro dell'Interno per le fragili maggioranze di questi due anni di legislatura. Talmente prezioso da esser sopravvissuto alla serie inenarrabile di fallimenti verificatisi da quando è titolare del Viminale.

In principio fu lo scandalo kazako della dissidente Alma Shalabayeva rimpatriata assieme alla figlioletta in fretta e furia. Tutto all'insaputa del ministro. Ma quello del 2013 era solo l'antipasto: da quando è in carica il governo Renzi per Angelino Alfano al Viminale sono stati dolori. Fu una brutta figura per il ministro assistere a Genny 'a carogna che, dopo l'assassinio del tifoso napoletano Ciro Esposito, conduceva da pari a pari una trattativa con le forze dell'ordine stabilendo che la finale di Coppa Italia si potesse giocare. Poi, il triste record degli sbarchi di migranti. L'anno scorso sono stati oltre 170mila, quasi il triplo del 2011 quando furoreggiavano le primavere arabe. Dall'operazione Mare Nostrum all'attuale Triton la musica non è cambiata: si sprecano soldi, assieme ai profughi arrivano anche criminali e potenziali terroristi e l'Unione Europea continua a lasciare l'Italia da sola.

Infine, le migliaia di episodi che aumentano la percezione di un Paese più insicuro. In quel caso un ministro dell'Interno può impuntarsi affinché i fondi destinati al capitolo sicurezza non siano troppo decurtati. Tasto dolente, perché prendere per il bavero Renzi e Padoan e far cambiare loro le tabelle della Stabilità non è nello stile di Alfano che a volte nei confronti del premier pare addirittura deferente. Questa situazione non può chiamarsi altrimenti che un fallimento politico.

Il 2015 avrebbe dovuto essere l'anno della svolta per Angelino, ma altre due tragedie ne hanno messo in dubbio l'adeguatezza alla funzione. In primis, la teppa olandese che ha sfregiato la Capitale prima di Roma-Feyenoord. Indi la strage al Tribunale di Milano. I due predecessori politici di Alfano al ministero, Roberto Maroni e Giuliano Amato, non avevano dovuto portare questo fardello perché si dedicarono interamente al loro incarico.

Non è il caso di Angelino che ha la passione della politica: ha pure fondato un partito, il Nuovo Centro Destra, per dare il giusto sfogo alla sua verve, per replicare l'esperienza del suo mentore Silvio Berlusconi. «Non ci siamo staccati dal centrodestra, ma non aderiamo a Forza Italia», declamò con enfasi nel giorno dello scisma. Da nuova chiave di volta dello schieramento alternativo alla sinistra, Ncd è divenuto (nella migliore delle ipotesi) l'ennesima mutazione genetica post-democristiana. A voler essere ipercritici, come l'ex capogruppo Nunzia De Girolamo, lo si può chiamare «una costola di Renzi» oppure «zerbini» del premier, pronti ad allearvisi in vista delle Regionali. Talmente proni da rinunciare a un ministro delle Infrastrutture senza batter ciglio solo perché citato nelle intercettazioni della Procura di Firenze.

Insomma, questo nuovo vascello che il prode Alfano aveva varato nei mari procellosi della politica post-berlusconiana si è trasformato in una ridotta piena di veleni e rancori, nel quale si vive con l'assillo di non superare le soglie di sbarramento. Al siculo Angelino non resta che chiedere un miracolo alla Madonna nera di Tindari.

Magari si eviterà un altro fallimento.

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