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Fu il primo politico italiano a dichiararsi bisessuale: "Inutile, ma non ho rimpianti"

Quindici anni fa la confessione dell'ex leader del «Sole che ride» «Il mio gesto avrebbe potuto dare un contributo alla causa dei diritti civili, e invece...». Oggi è un semplice militante dei Verdi

Fu il primo politico italiano a dichiararsi bisessuale: "Inutile, ma non ho rimpianti"

Quindici anni volano via in un botto, o forse non passano mai. Folgori e frammenti che restano indelebili anche in una di quelle vite prese a morsi e bevute tutte d'un fiato, com'è stato per Alfonso Pecoraro Scanio. L'ex leader del Sole che ride , è uno di quelli che non sta mai fermo; ancor'oggi la poltrona della Fondazione Univerde , una poltroncina d'un ufficio qualunque con veduta sull'ufficio ministeriale che fu, sembra andargli stretta di gambe. Le mani sono un moto continuo che non trova pace e tocca cose, documenti iPhone, iPad, mentre gli occhi seguono idee che schizzano sempre altrove, in un altro e inaccessibile Sé, persino quando parla del Narciso che ancora lo racchiude, quindici anni dopo. O soltanto sei, tanti ne sono passati dalla cocente sconfitta della Sinistra arcobaleno - lui, Bertinotti, Mussi e Diliberto - che lo portò d'impeto a dimettersi da leader dei Verdi.

Non ride più tanto, adesso, Alfonso. L'estroversa capacità di prendere la vita dal suo versante allegro, che pure gli fu addebitata come mancanza di sobrietà, o solo di quell'ipocrisia che tanto ripaga negli studi televisivi, si è tramutata in una vivacità posata. Segue sempre l'ultimo pensiero, anche se viene invitato a rievocare il fatidico 9 giugno dell'anno di grazia 2000, Giubileo papalino, casuale data della più clamorosa confessione mai fatta da un ministro della Repubblica italiana. Era in Portogallo, titolare dell'Agricoltura a consulto con i parigrado Ue, quando lo raggiunge la telefonata di una giornalista che lo interpella sull'opposizione al gay pride di Rutelli, allora sindaco di Roma. Scontata posizione politica, non scontata la domanda a bruciapelo. «Mi scusi la brutalità, ministro: si dice che lei sia omosessuale. È vero?». «Sono contrario sia a una scelta di sola omosessualità che a una eterosessualità rigida, vecchio stile: io, per me, scelgo l'assoluta libertà sessuale...». Sta dicendo di essere bisessuale? «Faccia lei. Certo, non vivrei con un uomo, però... La sessualità è importante, ma non è il problema centrale della mia vita. Per quanto riguarda il mio privato, ribadisco che considero qualsiasi scelta a senso unico un'autolimitazione. Né eterosessuale, né omosessuale». Era fatta. Il coming out seguiva quello privato, avvenuto a 23 anni, davanti agli occhi comprensivi e accudenti di mamma. «Per fortuna sono cresciuto in una famiglia laica, cosa che mi ha consentito di non viverlo mai con un senso d'angoscia. Era capitato, era un'esperienza nuova, provavo attrazione per un ragazzo. Tutto qua».

Già, ma come capita, una cosa così? «Non me l'aspettavo, ero stato con tante ragazze... Mi sembrò l'evoluzione di quello che predicavo in quegli anni: ero un militante pannelliano, anzi ero presidente regionale dei Radicali. L'orientamento sessuale per noi doveva essere libero... In più consideravo essenziale quelle radici nella cultura mediterranea, quel mix del mondo greco-romano nel quale l'amore omosessuale non era colpa, come non significava effeminatezza. Era un modo diverso di esprimere la sessualità virile». Concezione sepolta da millenni di cattolicesimo, di sessuofobia e senso del peccato carnale. Eppure restano differenze, nello stare con un uomo o con una donna. «Sicuro. Ma per me sono solo due modi diversi di vivere la propria sessualità, la propria identità, il proprio amore. Le donne sono più sensibili, più coraggiose, con loro instauri una dolcezza diversa da te. Con i maschi c'è del cameratismo, l'attrazione s'insinua nella similitudine in cui ti specchi, nel capirsi a vicenda con uno sguardo, in un'immediatezza coinvolgente. L'amore è fatto anche di goliardia, di complicità». Tutt'altro rispetto allo stereotipo culturale del trucco, della finzione, del transgender di cui è piena la cultura di quest'età liquida. «Mah, probabilmente con un effeminato non sarebbe mai capitato, però rivendico fortemente che ognuno possa scegliere ciò che più lo attrae. Difendo il diritto di ciascuno di viverla come vuole, e in modi che non sento miei, ma ugualmente legittimi».

Quel che accadde dopo, sorprese il ministro da differenti versanti. Il rilievo dato dai giornali al coming out , per esempio: « La Stampa titolò a otto colonne, e mi stupì persino che i giornali di destra trattarono l'argomento con rispetto. E io che temevo, chessò, un “Fuori i froci dal governo!”», ride. Poi c'erano i colleghi di governo: Katia Bellillo «carina, mi scrisse un biglietto durante il Cdm, mentre altri non mi prendevano sul serio: “Dì la verità: non sei gay, cerchi i voti”». Altri ancora dissero che non aveva il coraggio di dichiararsi gay. Solo da pochi leghisti, Gentilini su tutti, arrivarono offese: «Incivile, tirò in ballo mia mamma e mia sorella». Qualcuno di area dc si avvicinò infine per sussurrargli all'orecchio la più antica delle verità: «Guarda che queste cose non sono nuove. Però attento: si fanno e non si dicono».

Ma era invece nel dirlo la rottura dell'ipocrisia «che avrebbe potuto dare un contributo alla causa dei diritti civili». Quello il motivo più recondito dell'improvviso scarto. Che cosa resti della pubblica confessione, quindici anni dopo e dopo tanta acqua sotto i ponti, non saprebbe dirlo. Il tema dei diritti civili è ancora qui, all'ordine del giorno e sostanziali passi avanti non ce ne sono. «A pensarci adesso, la stranezza è che l'Italia sia rimasto l'unico Paese del Sud Europa abbarbicato a quel concetto del si fa ma non si dice, quando già allora ministri europei venivano agli incontri ufficiali portandosi dietro i loro compagni di vita senza alcun imbarazzo». Si sarebbe potuto e dovuto andare oltre il gossip, dice, e ottenere qualche risultato concreto. «Sarebbe ora almeno di approvare il modello tedesco di unioni civili. Potersi esprimere liberamente è essenziale: perciò apprezzo molto posizioni come quella della Pascale. Sarei contento se nel centrodestra riuscisse ad affermarsi la sua linea di sostegno ai diritti civili e inalienabili della persona».

Ancora iscritto al Partito radicale transnazionale (con orgoglio fa vedere il tweet di Pannella che lo ringrazia dell'ennesima iscrizione: «Non poteva mancare, grazie Alfò!»), Pecoraro è diventato oggi un inconsueto Cincinnato della politica. Nel senso che ha voluto tornare semplice militante, giura «senza alcun rimpianto». Ma venendo dalla politica di piazza, delle battaglie anche piccole però radicate sul territorio, e pur vedendo con simpatia il movimento di Grillo, Alfonso dichiara di accontentarsi del suo rango di «semplice iscritto ai Verdi di San Benedetto del Tronto, dove ancora adesso prendiamo percentuali tra il 5 e l'8 per cento». La soddisfazione? «Quella di portare avanti associazioni e iniziative che concretizzano il mio lavoro di ministro». Dallo stop alle trivellazioni petrolifere (è reduce da una manifestazione in Irpinia) all'energia rinnovabile (la sua Fondazione è affiliata a quella di Jeremy Rifkin), agli Ogm-free che pare non caratterizzeranno neppure la nostra presenza all'Expo. Pecoraro crede nelle lotte dal basso, tipo quella per non privatizzare l'isola di Budelli («Un mio vanto assoluto») o per far diventare l' Arte della pizza patrimonio immateriale dell'Unesco («Ho appena consegnato le 200mila firme raccolte. Ma sai che è la parola più pronunciata e conosciuta al mondo, al punto da rischiare di perdere l'identità italiana?»). Sfoglia il quinto rapporto sugli italiani e l'ecoturismo, uno dei suoi cavalli di battaglia (il 16 febbraio è la ricorrenza degli accordi di Kyoto), e insegna turismo sostenibile alle università di Milano Bicocca e Roma Tor Vergata. Un modo per arrotondare il vitalizio parlamentare di quasi 5mila euro il mese? Eccolo farsi serissimo, come nei momenti importanti. «No, lo faccio come missione personale. Non voglio una lira, mi basta quel che ho. Pannella mi ha insegnato che la politica si fa anche...

che dico?, soprattutto così».

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