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Altro pasticcio nella manovra Stop alle vendite di nuovi Pir

Sono i fondi esentasse dedicati a finanziare piccole imprese In due anni 20 miliardi. Ma ora un comma li ha bloccati

Altro pasticcio nella manovra Stop alle vendite di nuovi Pir

La manovra finanziaria giallo-verde ha prodotto un nuovo danno. Finora rimasto un po' sottotraccia. Ma da qualche ora sempre più serio: le principali società di risparmio gestito (quelle che vendono i fondi comuni per capirci) stanno ordinando alle loro reti di promotori di bloccare la vendita di nuovi Pir (Piani individuali di risparmio).

Si tratta di quel tipo di fondi, introdotti nel 2017 (governo Gentiloni) che garantiscono all'economia italiana due belle novità: l'esenzione fiscale da plusvalenze e successione ai risparmiatori che ci investono (a condizione di tenerli per almeno cinque anni); e per i piccoli e medi imprenditori italiani una nuova fonte di finanziamento alternativa a quella bancaria classica. I Pir, infatti, hanno l'obbligo di investire almeno il 70% del loro patrimonio in società italiane e, di questo, almeno il 30% (cioè il 21% del totale) in società non quotate sull'indice principale di Piazza Affari. In altri termini sono strumenti destinati in buona parte a piccole imprese (come quelle che in questi anni, anche grazie ai Pir, hanno deciso di quotarsi sul circuito Aim). Il risultato, nei primi due anni scarsi di attività (hanno iniziato a uscire a primavera '17) non è stato niente male: 20 miliardi è la stima non ancora ufficiale della raccolta a fine 2018 (vale un bel 1,3% di Pil).

Ma ecco che, con Di Maio-Salvini a Palazzo Chigi, arriva il pasticcio: con i commi dal 211 al 216 dell'articolo 1 della legge di bilancio si introducono alcune variazioni alla legge istitutiva dei Pir. Modifiche che, pur nate dall'intento nobile di favorire i piccoli imprenditori, in realtà «sono state scritte senza conoscere la materia», commenta un gestore anonimo. In particolare si dice che i nuovi Pir, sottoscritti dal 1 gennaio '19, dovranno investire almeno il 3,5% del patrimonio in fondi italiani di venture capital (con determinate caratteristiche) e un altro 3,5% in azioni di pmi (quotate Aim) con meno di 250 dipendenti e 50 milioni di ricavi. Ebbene, per Sgr con patrimoni Pir nell'ordine di qualche miliardo (è il caso delle prime cinque della classifica, che da sole valgono il 75% del totale), tali vincoli sono assai difficili da rispettare perché non esistono sul mercato quantitativi sufficienti di questi tipi di titoli (specie venture capital). Inoltre, stando così le cose, verrebbero a esistere due tipi di Pir: quelli ante 2018 e quelli post. Infine, inserendo titoli altamente illiquidi nei portafogli, si alza drasticamente anche la rischiosità dei Pir.

Per questo motivo, secondo fonti autorevoli, due sere fa in Assogestioni, appena rientrati dalle vacanze, i vertici hanno tenuto una riunione sul tema. E già in questi giorni l'associazione di categoria si muoverà verso governo a Bankitalia per cercare di chiarire e correggere la situazione con i decreti attuativi, attesi dalle Sgr il più presto possibile per evitare la paralisi.

Ma nel frattempo, tra i big, sia Eurizon (Intesa) sia Arca hanno deciso di fermare la sottoscrizione di nuovi Pir, mentre Mediolanum sta valutando ed è verosimile che gli altri seguiranno poi la stessa strada: il rischio è che comprando un nuovo Pir, che non può rispettare i parametri della legge, si perda il beneficio fiscale.

Naturalmente questo vale solo per le nuove posizioni: chi ha già un Pir rimane libero di aumentare le quote senza perdere i benefici, perché la norma non riguarda i dossier aperti fino al 31 dicembre 2018.

Ma di sicuro per le banche, le reti dei promotori e le imprese questo ennesimo pasticcio del governo Lega-M5s rappresenta una bella fregatura: chi stava pensando di investire in questo strumento, magari approfittando di quotazioni mediamente più basse del 15-20% rispetto a un anno fa, non lo potrà fare in esenzione fiscale, almeno fino ai decreti attuativi; e dal lato dell'offerta, quelle piccole imprese che facevano conto su questi flussi, rischiano di dover rifare i loro calcoli.

Per un Paese che se la gioca sul filo di lana con la recessione proprio non ci voleva.

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