Politica

Da amico del popolo a censore Capriola 5s sull'Ufficio bilancio

L'organismo esaltato quando bocciò il Def del precedente governo: adesso è fazioso. Giravolte anche sullo spread

Da amico del popolo a censore Capriola 5s sull'Ufficio bilancio

Quando si sale al potere, le armi usate in passato per attaccare gli avversari possono diventare spuntate. O, peggio ancora, ritorcersi contro. Benvenuti nel mondo pentastellato, regno dell'incoerenza e delle giravolte. Quando l'Ufficio parlamentare di bilancio ha bocciato il Def ravvisando «una previsione di crescita del Pil eccessivamente ottimistica», il M5s non ci ha pensato un attimo a mettere alla gogna gli autori del misfatto e ad accusarli di faziosità.

«Ricordiamo bene chi ha nominato Giuseppe Pisauro, Alberto Zanardi e Chiara Goretti, rispettivamente presidente e consiglieri dell'Ufficio parlamentare di Bilancio, organismo teoricamente indipendente che valuta le previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica del governo. Furono Pietro Grasso e Laura Boldrini nell'aprile 2014, durante il governo Renzi. Cosa potevamo aspettarci da un organismo che risponde ancora ad una ex maggioranza oggi ridotta a rabbiosa opposizione?», hanno tuonato i grillini.

Eppure, tornando indietro nel tempo, erano gli stessi grillini che elogiavano l'Upb e lo usavano per attaccare il governo Renzi. Era l'ottobre 2016 ed ecco cosa scriveva il Movimento sul blog di Beppe Grillo: «L'Ufficio parlamentare di bilancio (organismo che rappresenta tutto l'arco costituzionale) per la prima volta quest'anno non ha validato le previsioni del governo sulla crescita per il 2017. Ossia stanno sparando balle su balle e raccontando che l'Italia crescerà ma non è vero nulla: l'unica cosa che continua ad aumentare ad ogni rilevazione è il debito pubblico».

Insomma, prima era una considerato l'ufficio del popolo, adesso che rema contro diventa un organismo partigiano. E pensare che l'accusa era la stessa che l'Upb muove oggi ai grillini: stime del Pil eccessivamente ottimistiche. Così come lo stesso era il presidente Pisanu, messo alla gogna oggi e usato come arma politica di convenienza ieri.

Il paradosso si ripete pure con lo spread. Anni fa era un allarme da tenere giustamente in considerazione, pericoloso per la nostra economia, ora è solo, per citare Di Maio, «un modo per terrorizzare i cittadini».

Ma anche qui basta tornare indietro, precisamente nel luglio 2011, per scoprire l'ennesima giravolta. Erano i tempi del governo Berlusconi, Monti ancora non aveva fatto la sua amara comparsa e Grillo, preoccupato per la salute delle banche (sì, avete sentito bene: proprio delle banche), in una lettera al capo dello Stato Napolitano scriveva: «Lei ha il diritto-dovere di nominare un nuovo presidente del Consiglio al posto di quello attuale. Una figura di profilo istituzionale, non legata ai partiti, con un l'unico mandato di evitare la catastrofe economica e di incidere sulla carne viva degli sprechi. (...) Le banche italiane sono a rischio, hanno 200 miliardi di euro di titoli pubblici e 85 miliardi di sofferenze, spesso crediti inesigibili. Non sono più in grado di salvare il Tesoro con l'acquisto di altri miliardi di titoli, a iniziare dalla prossima asta di fine agosto. Ora devono pensare a salvare se stesse».

Ieri, invece, sul blog delle stelle, un post decisamente antitetico dal titolo: «Lo spread è una fake news». E cosa scrivono i pentastellati? Che il differenziale «è la clava con la quale opinionisti senza arte né parte tengono la politica sotto ricatto». Insomma, cambiando l'ordine degli addendi il risultato cambia.

Ma solo per i Cinque Stelle.

Commenti