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Arcore come Camelot. Dentro il silenzio, fuori si prega per il re

Centinaia di persone a villa San Martino, "santuario" e meta di un pellegrinaggio. Visita di Meloni e dei vice Salvini e Tajani

Arcore come Camelot. Dentro il silenzio, fuori si prega per il re

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Le porte di Camelot sono sbarrate. Entra solo chi può. I parenti. Gli amici. Chi ha condiviso almeno un briciolo dell'epopea. Il popolo sta fuori.

Il popolo piange. Il popolo prega. Il popolo batte le mani. Sotto la pioggia, fastidiosa. Sotto il sole, cocente, perché il tempo in questa stagione ballerina muta, come l'umore. Lacrime e sorrisi.

Il potere del popolo è la sua presenza.

Centinaia di pellegrini che vorrebbero vedere il corpo del sovrano, ma ordini superiori, ragioni di ordine pubblico lo impediscono. E allora la sfilata muta si trasforma in un accampamento: sono tanti, sempre di più e fanno di tutto per lasciare un graffio della loro venuta, per far sapere al re, che non c'è più ma non se ne andrà mai, che loro ci sono. E ci saranno sempre.

L'importante è entrare in comunicazione con lui, esattamente come capita nei santuari. La reggia di Arcore è stata baricentro e meta, oggi è il punto d'arrivo di un viaggio triste e orgoglioso. Il punto esatto cui consegnare sentimenti e memorie, e poi, chissà, le speranze e lo sgomento di quel che c'è oltre la siepe.

«Dopo Berlusconi c'è il nulla», commenta una signora che si è fatta dieci ore di macchina da Altamura per venire fin qua. «C'è il nulla e c'è Dio».

La fortezza è impenetrabile: vorrebbero toccare quel corpo, inchinarsi, fare il segno della croce e dare un ultimo bacio, come si fa in tante cerimonie che scorrono nell'anonimato.

Il protocollo però non prevede strappi ed eccezioni per chi non abbia titolo. E chi ha portato solo la propria commozione la riversa dove può, come può: mazzi di fiori, allineati sul prato che fa tanto royal family e quasi rimanda all'isteria degli inglesi dopo la scomparsa di Diana. E poi cartelli, striscioni, commenti e sospiri per i taccuini e le telecamere dei giornalisti che scrutano questa umanità composta e sospesa.

Vorrebbero fare ingresso perché non si può elaborare il lutto se non si è stati davanti al feretro, sanno che prima o poi dovranno rassegnarsi, dovranno fare dietrofront, ma aspettano che qualcosa accada. Anche se sanno che tutto è già accaduto.

Il miracolo del Monza in serie A dopo 110 anni e le glorie planetarie del Milan di Sacchi, di Maldini, di Van Basten e di capitan Baresi, avvistato nel pomeriggio; la tv che ha costruito l'immaginario di un Paese che voleva divincolarsi dalla povertà ed è diventata lo specchio di chi prima aveva paura a soffermarsi sulla propria immagine; il sogno liberale di Forza Italia e la seduzione del ceto medio; le case green, anche se allora questa parola si usava poco, di Milano 2 e il modello delle new town.

Il sovrano aveva tante anime, tante sensibilità, tante frecce al suo arco e ciascuno è lì per far brillare la tessera di quel mosaico che più gli corrispondeva. Per riconoscersi ancora una volta in quell'identità, personale e collettiva, individuale e plurale, sacra e profanata infinite volte dai tanti nemici, avversari, critici.

Teneva tutto insieme quel carisma, straordinario, tanto da essere quasi un culto, una liturgia per gli uni, il segno di un inganno senza fine, un' illusione ottica per gli altri.

Sono orfani, ma sanno che in qualche modo darà loro ancora indicazioni, in questa terra di mezzo abitata dallo smarrimento che non è più il prima e non ancora il dopo.

Dentro è silenzio. Fuori il popolo vive il suo cordoglio, si aggrappa alla propria disperazione come a un salvagente, consegna bigliettini che arriveranno fino oltre le mura di Camelot e poi direttamente in cielo.

Ci sono le barriere, le transenne e i carabinieri, ma non possono esserci ostacoli per chi si è sempre sentito protetto da quel mantello sontuoso. Certo, ci sono state le delusioni, le svolte e le giravolte, i tradimenti e le fughe, il declino che inevitabile viaggia come un tarlo dentro il tempo.

Ma il rapporto con la regalità è fatto così: si chiede, si dispera, si pretende, si scaglia la propria collera contro chi non ha mantenuto tutte le promesse, si attende di nuovo che qualcosa succeda.

Poi quel clima mistico svanisce. Camelot è sempre off limits. È ora di tornare a casa. Arriva Antonio Tajani, poi in serata Matteo Salvini e Giorgia Meloni, per qualcuno, ma solo per qualcuno dei convenuti la regina e la prova che il meccanismo della successione non si è inceppato.

Non c'è stato l'incontro che tutti desideravano, ma la solitudine dei pellegrini è un po' meno pesante.

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