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Artigli e passamontagna Ecco come i «pacifisti» aiutano i clandestini

Spranghe, coltelli e un artiglio da film horror sequestrati ai "No border" a Ventimiglia. Gabrielli: "Professionisti dell'agitazione"

Artigli e passamontagna Ecco come i «pacifisti» aiutano i clandestini

Un'arma degna di Wolvwerine o di Freddy Krueger. Sembra di stare dentro una scena da incubo della saga horror di Nightmare, invece siamo alla frontiera di Ventimiglia. Dove l'Europa va in frantumi, i migranti si accatastano, i No Borders soffiano sul fuoco. Otto arresti, sette francesi e un'italiana residente a Parigi, ma soprattutto un catalogo impressionante di armi: un guanto con punte acuminate modello X-Men, coltello da rambo con lama di 30 centimetri, mazze, tubi di plastica da maneggiare come manganelli, cappucci (guarda la gallery). Il kit del perfetto dimostrante che si schiera al fianco dei disperati arroccati in attesa di un domani sugli scogli dei Balzi Rossi, ma poi distribuisce violenza, prima di giocare la solita parte della vittima. Insomma, il classico «pacifista» armato.

Nessuno vuole colpevolizzare le idee, ci mancherebbe. Gli antagonisti e i centri sociali hanno tutto il diritto di dare voce alle proprie opinioni, ma troppe volte il copione deraglia. Qui, con 600 persone bloccate a un passo da Mentone e dall'agognata Francia, arriva l'imprevisto che sconvolge i piani di guerriglia: sabato sera un agente, Diego Turra, muore d'infarto sulla prima linea della protesta. I No Bordes, spiazzati, annullano il corteo previsto e mettono le mani avanti: «Non vogliamo cadere in trappola. Non c'entriamo nulla con quella morte, avvenuta per cause naturali mentre i suoi colleghi ci inseguivano e ci picchiavano».

Fermi e fogli di via disegnano uno scenario assai diverso. Ci sono tutti gli strumenti classici per imbastire un pomeriggio di terrore, ambientato non più nel cuore di Milano o in Val di Susa, ma dove Italia e Francia s'incontrano. Al crocevia di una politica sempre più impotente. «E' lo stesso meccanismo che abbiamo visto tante volte con i Black Blok - dicono gli agenti che stanno monitorando il fenomeno - italiani o francesi non importa: si organizzano e si danno appuntamento nei luoghi più problematici per alimentare la tensione».

Angelino Alfano, in un'intervista a Repubblica, sconfina attribuendosi meriti straordinari: «Se Ventimiglia non è fin qui diventata una Calais italiana lo si deve al fatto che abbiamo realizzato controlli». Ma le sue parole roboanti non tranquillizzano. Anzi. il Governatore della Liguria Giovanni Toti denuncia «la situazione ormai insostenibile a Ventimiglia, dove serve subito un intervento fermo e deciso del governo con l'identificazione degli immigrati e il pugno duro con i No Borders che, irresponsabilmente, aggiungono tensioni a tensioni». Sulla stessa lunghezza d'onda, anzi più in là, il senatore forzista Maurizio Gasparri: «Il Governo sta drammaticamente sottovalutando la situazione a Ventimiglia. Ci aspettiamo l'allontanamento immediato dalla città di tutti i clandestini e fermezza contro i provocatori».

Il capo della polizia Franco Gabrielli dosa i concetti come un politico consumato: «Intensificheremo le operazioni di decompressione, in modo da alleggerire la pressione nell'area. E alleggerire la pressione significa prendere le persone e portarle da un' altra parte». Poi si concentra sulla protesta: «I No Borders sono professionisti dell'agitazione, ma - aggiunge subito - addebitare a loro la morte di Turra è un esercizio poco serio». Un punto che tutti condividono. Ma che non cancella il malcontento: mentre l'Europa si scioglie, gli agenti sono sempre più vecchi, mal pagati, peggio equipaggiati.

E devono fronteggiare, in quel lembo estremo d'Italia, anche il rischio che qualche terrorista si mescoli ai profughi.

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