Politica

"Bella ciao", cori e insulti a Renzi. Nasce il nuovo Partito comunista

Fassina e D'Attorre tengono a battesimo Sinistra italiana con la benedizione di Vendola. Il nemico è a palazzo Chigi: "Alternativi ai suoi Happy Days"

Alfredo D'Attorre, Nicola Fratoianni e Stefano Fassina
Alfredo D'Attorre, Nicola Fratoianni e Stefano Fassina

Roma - Se il buon giorno si vede dal mattino, lo slogan con cui nasce il partitino della Sinistra italiana è di buon auspicio: «Siamo alternativi agli Happy Days renziani», sintetizza Stefano Fassina. Banditi dunque frivolezze, ottimismo, buon umore e - ovviamente - Matteo Renzi.

Già, perché i tempi dell'antiberlusconismo sono ormai sepolti, di anti-salvinismo o anti-grillismo non se ne vede punto, persino Giorgia Meloni o Casa Pound stanno più simpatici alla sinistra-sinistra di lui, Matteo, il Nemico Pubblico numero uno: la nuova formazione (sostanzialmente si tratta di una riedizione di Sel allargata ad un manipolo di fuoriusciti Pd, da Fassina a Mineo a D'Attorre) nasce tutta e solo nel segno dell'antirenzismo militante. «La democrazia è ingabbiata dalla retorica della governabilità e dell'uomo solo al comando», denuncia vibrante Nichi Vendola.

I padri fondatori di Sinistra italiana si sono dati convegno ieri al teatro Quirino di Roma, lo hanno riempito (d'altronde conta 930 posti, non esattamente uno stadio) e hanno annunciato che in queste settimane nascerà il gruppo alla Camera (i 25 di Sel più 6 ex Pd), poi forse il gruppo al Senato e dall'anno prossimo si lavorerà per costruire «l'alternativa di governo al liberismo Happy Days di Renzi». Con chi? E qui già le cose si fanno complicate: Maurizio Landini, più volte implorato di dare una mano con la sua Fiom, ha preso le distanze. Pippo Civati, del quale ieri era annunciato almeno un «saluto in video», non ha mandato neppure una cartolina e si dedica al proprio progetto strategico (far perdere il centrosinistra a Milano, magari candidandosi lui medesimo contro il Pd). Il mancato presidente della Repubblica Rodotà li ha ignorati. In compenso, la platea (alquanto incanutita) era affollata di vecchie glorie: Tortorella, Salvi, Mussi. E ancora Paolo Cento, Luca Casarini, Valentino Parlato. C'era pure un autorevole osservatore estero, il segretario d'ambasciata dell'Angola (in fondo è pur sempre stato un paese comunista).

Il povero Corradino Mineo, per evitare nuovi imbarazzi al nascituro partito dopo la gaffe dei giorni scorsi, è stato pregato di mimetizzarsi in fondo alla sala e di non aprire bocca coi giornalisti, e tanto meno dal palco. A contendersi le telecamere sono rimasti Fassina, in camicia bianca modello Renzi, e il pallido Alfredo D'Attorre, che se la è presa col suo padrino politico Bersani, reo di aver bocciato gli scissionisti: «Gli sono grato e lo stimo, ma deve guardare in faccia la realtà: la sinistra del Pd non riesce a toccare palla», sentenzia. Rincara la dose Fassina: «Bersani ci ha accusato di fare il gioco della destra, ma il gioco della destra lo si fa con il Jobs Act, l'Italicum, la riforma del Senato, della scuola, della Rai». Fuori, la gente che chiedeva di entrare ha intonato Bella ciao . Ora si studia una strategia per le prossime elezioni comunali: la speranza di far più male possibile a Renzi si scontra con la necessità di Sel di allearsi col Pd per riportare a casa un po' di eletti. Il caso più paradossale è Roma, dove Fassina medita di candidarsi in prima persona, mentre Civati e un pezzo di Sel puntano nientemeno che su Ignazio Marino.

«Ma quella di Marino è una stagione chiusa», taglia corto Fassina.

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