Cronache

Il bello e la pupa uccisi in auto: l'assassino forse è in caserma

Un'auto sospetta sarebbe stata individuata passare nella zona del delitto prima e dopola duplice esecuzione. Dubbi sul racconto di un amico e collega del militare

Il bello e la pupa uccisi in auto: l'assassino forse è in caserma

Due giorni sott'acqua, immersi nel buio paludoso di un laghetto artificiale. Cercando una pistola, l'arma del delitto, forse il bandolo della matassa. Ovvero la pistola che lo scorso 17 marzo freddò Trifone Ragone, 28 anni, caporal maggiore del 132° Reggimento carri di Cordenons e la fidanzata Teresa Costanza. La cercano nel lago del parco di San Valentino, i cinque carabinieri del reparto sommozzatori arrivati da Genova. Ieri pomeriggio qualcosa è stata trovata: si tratta di un oggetto che potrebbe essere riferibile a un'arma. Non a caso si scandagliava proprio lì.

C'è una nuova pista, forse finalmente, un vero punto di partenza per cercare di risolvere questo rebus noir cui manca ancora un perché. Una strada che sembra portare in caserma. San Valentino dista meno di un chilometro dal luogo del delitto, da quella palestra che il militare e la broker assicurativa partita per suo amore da Milano, frequentavano ogni giorno: ecco, l'assassino, magari con un complice potrebbe essersi fermato proprio in quel polmone verde per liberarsi della semiautomatica ancora fumante. È un'ipotesi, solo che adesso, dopo mesi e mesi di indagini, centinaia di persone interrogate, da Pordenone, a Milano fino alla Puglia e alla Sicilia - terre di origine delle vittime -, intercettazioni, tabulati telefonici e computer passati al setaccio, ora qualcosa che è più di una traccia sembra apparire. Le esistenze in chiaroscuro del «bello e della pupa» complicano maledettamente l'indagine. Trifone e Teresa, professionisti esemplari di giorno, vite trasgressive la notte. Lui buttafuori e ragazzo immagine nelle discoteche, accompagnatore di signore annoiate - si vocifera - per arrotondare lo stipendio; lei, a tempo perso barista e attrazione dei locali. Il ventaglio delle suggestioni si apre a dismisura. Amore, tradimenti, sgarri, traffici illeciti, di certo un delitto deciso da qualcuno molto arrabbiato o per il quale la vita vale poco.

Tra i tanti finiti nel mirino degli investigatori di certo c'è chi ha mentito, probabilmente anche depistato. Erano le 20 di un martedì di inizio primavera quando l'atletico soldato e la sua avvenente compagna, appena saliti in auto per tornare a casa, si ritrovarono a morire. Tre colpi in faccia a lui, inerme, colto di sorpresa, senza possibilità di tentare una reazione; due a lei (un terzo la colpì di striscio) mentre stava accendendo il motore.

Le indagini hanno seguito, passo dopo passo, gli spostamenti della coppia, da Lodi, dove abita la famiglia della ragazza, ad Adelfia, dove vivono i familiari di Trifone; dalla movida milanese agli ambienti della caserma, dai contesti sociali pordenonesi al mondo delle palestre e del crossfit , fino alla Svizzera e alla Romania, dove Trifone era andato un paio di volte qualche mese prima di essere ucciso. A fare cosa? Ha degli amici originari di quelle parti. Il resto non si sa. Passati al setaccio i cellulari e i computer portatili dei due giovani: ogni conversazione su WhatsApp o su Facebook vagliata. Ecco spuntare adesso una pista. Un'auto, ripresa dalle telecamere, che si trovava nella zona del delitto poco prima e poco dopo la duplice esecuzione. Poi fine. A bordo qualcuno individuato e che, chissà perché, non avrebbe raccontato la verità. Si tratterebbe di una persona vicina al caporal maggiore, sembra un collega, ma le bocche dei carabinieri sono cucite. Potrebbe addirittura trattarsi di una donna, una soldatessa. Ciò non esclude la presenza, se non l'aiuto logistico, da parte di altri, magari una persona che frequentava la palestra di Aragone.

La stessa famiglia del militare destinato ad entrare nella Guardia di Finanza (aveva superato un concorso, ndr ), da qualche mese indaga per conto proprio, aiutata dallo staff della criminologa Roberta Bruzzone. Ogni dato, testimonianza, indizio, viene passato alla Procura. Gli investigatori, dal canto loro, scremano, lavorano per esclusione. Nella lista dei sospetti potenziali una decina di persone.

La verità è più vicina.

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