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"La C02 non inquina". Trump nel mirino dei verdi americani

Il capo dell'agenzia per l'Ambiente scatena la polemica con una frase "negazionista"

"La C02 non inquina". Trump nel mirino dei verdi americani

New York - È guerra aperta tra l'amministrazione di Donald Trump e gli ecologisti dopo che Scott Pruitt, capo dell'Agenzia per la protezione dell'Ambiente (Epa), ha affermato come «l'attività umana» non è «la causa primaria del riscaldamento globale». «Misurare l'impatto dell'attività umana sul clima è molto difficile, e c'è un enorme divergenza sul grado di questo impatto - ha detto Pruitt alla rete tv Cnbc -. Io non sono d'accordo nel dire che il CO2 è il principale responsabile del riscaldamento climatico». La tesi, che ha suscitato l'indignazione degli ambientalisti (e dei democratici), contrasta con quella di altre agenzie federali che studiano i cambiamenti climatici, come la Nasa e la Nooa (National Oceanic and Atmospheric Administration). Lo scorso gennaio, proprio Nasa e Nooa hanno presentato un rapporto da cui emerge che la temperatura della superficie terrestre è salita di due gradi Fahrenheit (1,1 gradi centigradi) dalla fine del XIX secolo, un aumento dovuto soprattutto alle emissioni di CO2 e ad altre emissioni legate alle attività dell'uomo. Il numero uno dell'Epa, al contrario, prosegue per la sua strada, invertendo la rotta portata avanti dall'amministrazione Obama e con l'accordo di Parigi sul clima. Per Kevin Trenberth, membro del National Center for Atmospheric Research, gli scienziati possono dimostrare che il recente riscaldamento del pianeta non avrebbe avuto luogo senza il cambiamento della composizione atmosferica: «Sono fatti scientifici, non opinioni - ha detto - i politici devono tenerne conto».

Contro le politiche ambientali della nuova amministrazione si sono schierati anche i nativi americani. Ieri in migliaia, appartenenti a diverse tribù, hanno marciato sin davanti alla Casa Bianca, per protestare contro la decisione del presidente Donald Trump di riavviare la costruzione degli oleodotti Dakota Access e Keystone XL, che il suo predecessore Barack Obama aveva bloccato. Per gli indiani si tratta di una violazione della legge e di un'aggressione alle loro terre, su cui passano gli oleodotti, con il rischio di possibili inquinamenti delle falde acquifere.

E presto, a dar filo da torcere al tycoon su questioni chiave come il cambiamento climatico, potrebbe arrivare anche una sua vecchia conoscenza, con cui non corre buon sangue, Arnold Schwarzenegger. Secondo quanto riferito da fonti vicine al partito repubblicano al sito Politico, la star di «Terminator» ed ex governatore della California starebbe pensando di scendere di nuovo nell'arena politica, candidandosi in Senato nel 2018. Schwarzy, 69 anni, potrebbe correre come indipendente e sfidare la senatrice Dianne Feinstein, 85 anni, il cui mandato scade l'anno prossimo. Il suo portavoce, Daniel Ketchell, non ha confermato né smentito, ma pur affermando che l'ex governatore è concentrato sulla riforma dei distretti politici, ha precisato come tenga «tutte le opzioni aperte». L'ex attore di origini austriache, che ha detto pubblicamente di non aver votato per Trump alle elezioni dell'8 novembre scorso, e il Commander in Chief Usa si sono spesso attaccati a vicenda sui social. In particolare dopo il flop del primo alla conduzione dello show «The Apprentice». Schwarzenegger era stato scelto dopo l'addio di The Donald, ma gli indici d'ascolto sono stati deludenti, e così ha abbandonato il programma. «Arnold Schwarzenegger non ha lasciato The Apprentice volontariamente - ha scritto invece il tycoon su Twitter -. È stato licenziato per i suoi patetici ascolti, non certo per me. Che triste fine per un grande show».

Per diversi strateghi Gop un ritorno di Arnold in politica è del tutto plausibile, e «gli permetterebbe di dare fastidio a Trump per altri 16 mesi».

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