Cronache

Il caldo anomalo, le escursioni iniziate tardi e niente allerte: le cause possibili (oltre la fatalità)

Ghiaccio indebolito dall'acqua di fusione. Gli esperti: "Evento eccezionale". Nessuno ha sconsigliato la salita. Che sarebbe stato meglio affrontare di notte

Il caldo anomalo, le escursioni iniziate tardi e niente allerte: le cause possibili (oltre la fatalità)

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Il caldo anomalo, le escursioni iniziate tardi e niente allerte: le cause possibili (oltre la fatalità)

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Il ghiacciaio della Marmolada si è rotto, come si spezza un pane fragrante, ma avvelenato e si è rovesciato di sotto. Incanalando la sua furia su detriti e rocce, ha travolto tutto e tutti, escursionisti, alpinisti, semplici amanti della natura dei monti Pallidi. Ora su quello sperone sotto a Punta Rocca c'è come un antro che rivela un male profondo, con radici antiche in quei rigagnoli d'acqua sotterranea che, da decenni, stavano limando le giunture che saldano il ghiaccio alla roccia. «È un crepaccio e non un seracco, che si è riempito di acqua di fusione nel corso degli anni», entra nel tecnico Carlo Barbante, docente dell'Università di Venezia e direttore dell'Istituto di Scienze Polari del Cnr.

GHIACCIAIO PAZIENTE CRONICO

Gutta cavat lapidem: la goccia scava anche la roccia. Lo dicevano già i latini che di neve e permafrost si intendevano meno. Il resto lo ha fatto la gravità, cioè l'inclinazione dello sperone roccioso da cui si è staccata la calotta di ghiaccio. Poi ci sono il caldo sia «storico» e globale del famigerato surriscaldamento del pianeta, sia il clima torrido recente, con un inverno senza grandi nevicate e ora un isoterma (il punto in cui l'aria è a 0 gradi) altissimo, oltre i 4mila metri. Così le notti non concedono da tempo alla neve e al ghiaccio una tregua. Si chiama rigelo: come Penelope che disfava la sua tela sotto le stelle, così il ghiaccio la sera dovrebbe ricompattarsi. «Ma ormai non accade più. Non quest'anno. Né sulla Marmolada né sulle Alpi», spiegano gli esperti.

UNA TRAGEDIA NON PREVEDIBILE

Ed ecco, allora, il destino che mette il turbo e confeziona un evento che, nonostante la dinamica ormai chiara, era e resta imprevedibile. Lo pensano tutti: i soccorritori addolorati che, nonostante il maltempo, ancora cercano un segno per riportare almeno un ricordo o l'ultima certezza a chi abbia già perso tutto. Lo pensano gli esperti, dai glaciologi come Christian Casarotto del Muse di Trento che spiega: «Se paragoniamo l'evento alle modeste dimensioni del ghiacciaio residuo della Marmolada, comprendiamo la sua eccezionalità». Insomma a innestare la tragedia non è stato un crollo «himalayano», ma un cedimento lento e costante che si è nutrito di detriti e rocce, trascinando tutto a valle.

CALDO SÌ, IMPRUDENZA NO

Per questo il dolore più grande è nella comunità alpinistica di professionisti e guide che, fra l'altro hanno perso dei colleghi preziosi, rimasti lassù: «Nessuno dei nostri uomini ha sottovalutato i rischi, trascinando clienti e anche parenti lassù», scandisce Martino Peterlongo, presidente delle Guide alpine italiane: «Il caso della Marmolada non rientrava nelle opzioni di crolli prevedibili o nei ghiacciai osservati».

UN'ALTRA ESTATE CALDA

E allora che cosa è successo lassù, intorno a quota 3mila, in una estate che i meteorologi hanno già bollato come gemella di quella torrida del 2003? «Crolli ci sono stati anche in passato», ricorda Giorgio Gajer, presidente del Cnsas - Soccorso alpino e speleologico - annoverando la mitica, ormai sparita, «meringa» del Gran Zebrù, il seracco pendente delle Grandes Jorasses e i più recenti, ricorrenti crolli, fra monte Bianco e Grand Combin. E quindi? La resilienza, parola tanto chiave della modernità, è anche questo: adeguarsi al tempo, anzi al meteo moderno di questo regno di Narnia e di ghiaccio che può essere anche una fiaba senza lieto fine. «Nei prossimi 30 anni molti ghiacciai spariranno, ma nel frattempo i crolli proseguiranno», spiega ancora Casarotto, che ha paragonato la Marmolada al paziente zero dei ghiacci italiani. La situazione è irreversibile, anche azzerando le emissioni di anidride carbonica, concordano gli esperti.

IL RIFUGISTA E I SOCIAL

E che nessuno si aspettasse un crollo del genera lo conferma, con i suoi post, anche Carlo Budel, il gestore del piccolo rifugio di Punta Penia dove la via normale termina: nessun allarme nei suoi video, ma solo parole tristi e meste per lo stato «pietoso» del ghiacciaio. Altrimenti lui stesso avrebbe usato i social per sconsigliare la salita e non solo per documentare l'ambiente circostante.

LA VIA NORMALE

Gaier del Cnsas torna, semmai, sull'orario della tragedia: indubbiamente la via normale della Marmolada, se affrontata partendo dal rifugio a Pian dei Fiacconi è una escursione di un paio d'ore con circa 700 metri di dislivello positivo. È vero che i ghiacciai di solito si affrontano durante la notte in modo da essere di ritorno ampiamente entro il primo pomeriggio. Ma appunto la Marmolada non è uno di quegli oceani alpini di ghiaccio per cui ci si incolonna con le frontali ancora sotto le stelle.

È per questo che nessuno si aspetta mai l'impensabile.

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