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Cambio alla "Stampa". Gli Elkann silurano l'estremista Giannini

Il direttore del quotidiano sostituito dal suo vice Malaguti. E lui si paragona al "Gladiatore"

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Raccontano che ieri, nell'ultimo incontro con la redazione, il direttore uscente della Stampa, Massimo Giannini, abbia evocato il generale Massimo Decimo Meridio. Eroe immaginario della guerra contro i «barbari» ed erede designato (ma usurpato) dell'imperatore Marco Aurelio per ripristinare la Repubblica (absit iniuria verbis), nel film hollywoodiano «Il gladiatore». Quello di: «At my signal, unleash hell», scatenate l'inferno. Un modo, raccontano i presenti, per «dire che Roma vale al di là del destino di chi la guida: una mozione di orgoglio per la testata». Per i più maligni, anche un modo di dare una cornice tutta politica alla propria uscita, a causa della linea sempre più radicalmente antigovernativa impressa al giornale. Un crescendo, negli ultimi mesi, di editoriali in cui Giorgia Meloni veniva paragonata al Macbeth ossessionato da nemici immaginari e di annunci di un governo tecnico alle porte. Fino all'arruolamento di Mattarella tra gli antagonisti della premier, che ha costretto il Colle alla smentita.

In realtà, il cambio della guardia ai vertici della Stampa era atteso da mesi nelle testate del gruppo Gedi: pessimi i rapporti con gli editori Elkann (la rottura si consumò fin dai funerali di Scalfari, dove Giannini nella sua orazione funebre li accusò in pratica di non aver capito nulla della Repubblica del Fondatore). Clima interno surriscaldato (in un comunicato di fine luglio il Comitato di redazione usava parole di durezza inusitata contro il direttore: «Arroganza e indifferenza», «mancanza di rispetto personale e professionale», «sconcerto e rabbia», e la Stampa descritta come «una nave alla deriva»). Scontro sotterraneo con la testata sorella di Repubblica e il suo direttore Maurizio Molinari. Del resto si è detto e scritto dal primo giorno che Giannini, cresciuto fin da giovanissimo alla scuola di Scalfari, si sentiva l'erede in pectore del quotidiano di Largo Fochetti, dopo il regno di Ezio Mauro. Invece gli Elkann gli preferirono Molinari, e Giannini dovette «accontentarsi» del quotidiano di Torino. A fine estate, si racconta, il direttore ha trattato un'uscita soft: la successione interna con Malaguti, il ritorno a Repubblica come editorialista, un probabile contratto con Discovery per un programma tv. Quella tv che, dicono i critici interni, «è l'unica sua vera passione, tramontata l'ipotesi di dirigere Repubblica». Non solo per la sua presenza come ospite fisso nei talk-show, ma anche per la scelta di inzeppare il giornale di volti noti, dalla compianta Michela Murgia a Lucia Annunziata, da Cacciari a Ghisleri ad Annalisa Cuzzocrea. «Ormai siamo l'Isoletta dei Famosi, un talk-show di carta», dicevano in redazione. Al contempo ha alzato il tono della polemica contro il governo Meloni usando toni sempre più shakesperiani.

Ma a pesare sulla scelta di Gedi, spiegano i bene informati, sono state innanzitutto le vendite in calo, a cominciare dal Piemonte (25% in meno ogni anno), e le resistenze di Giannini all'obiettivo aziendale di «regionalizzare» sempre di più il giornale.

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