Politica

Caos Libia, nessuna tregua E gli americani se ne vanno

Ritirate le forze armate a stelle e strisce. Ignorato l'appello dell'Onu. Sarraj tenta una controffensiva

Fausto Biloslavo

Gli americani se ne vanno dalla Libia in fiamme. Gli scontri a ridosso della capitale si intensificano con bombardamenti aerei, la controffensiva «Vulcano di rabbia» annunciata dal governo e quinte colonne a Tripoli del generale Khalifa Haftar, che potrebbero mobilitare la popolazione.

Nelle prime ore del mattino di ieri, un'unità anfibia stile hovercraft della flotta Usa ha raggiunto Janzur, un porto ad una manciata di chilometri a ovest della capitale. A bordo sono stati evacuati militari americani dispiegati a Palm city alla periferia di Tripoli. «A causa dei crescenti disordini in Libia, un contingente di forze Usa è stato temporaneamente trasferito dal Paese in conseguenza delle condizioni di sicurezza sul terreno» ha annunciato il generale del corpo dei marine Thomas Waldhause a capo del Comando Usa in Africa con sede a Stoccarda. Il numero degli evacuati non è stato reso noto, ma i libici hanno filmato la partenza di un hovercraft a stelle e strisce dalla banchina di Janzur. L'unità è stata probabilmente lanciata nella missione dalla nave anfibia USS Arlington, che opera nel Mediterraneo di fronte alla Libia. Secondo il Comando Usa per l'Africa il personale evacuato si occupava di «sostegno militare a missioni diplomatiche, attività di anti-terrorismo e miglioramento della sicurezza nella regione».

L'ambasciata italiana a Tripoli continua ad operare a pieno regime. La cintura di sicurezza è garantita dai carabinieri paracadutisti e squadre di forze speciali.

Dopo quattro giorni di combattimenti le truppe fedeli al governo di Fayez al Serraj hanno lanciato l'operazione «Burkan al ghadab» (Vulcano di rabbia) contro l'Esercito nazionale libico del generale Haftar che vuole entrare nella capitale. In soccorso a Tripoli è arrivata da Misurata, la Sparta libica, una colonna con 350 mezzi, secondo gli annunci, ma il numero sarebbe minore. Attorno all'aeroporto internazionale di Tripoli, chiuso dal 2014, si continua a combattere. Le forze aeree governative hanno bombardato le postazioni di Haftar nei pressi dello scalo. Anche i caccia del generale si sono alzati in volo colpendo le unità avversarie, ma in realtà il numero ufficiale di vittime rimane limitato per uno scontro a tutto campo. Fonti sanitarie di Tripoli parlano di 21 morti fra i governativi e il portavoce dell'uomo forte della Cirenaica, Ahmad al-Mesmari, ha ammesso la perdita di 14 uomini. Altri 70 sarebbero stati fatti prigionieri. Haftar sostiene di avere usato solo il 30% della sua forza bellica. Razzi Grad BM-21 sono stati lanciati dall'aera di Garyan a sud di Tripoli. La gittata è di una ventina di chilometri e non possono raggiungere la capitale.

La tattica dell'Esercito nazionale libico e dei suoi alleati è di spingere su più direttrici verso Tripoli penetrando e poi ritirandosi per attrarre i governativi al di fuori del centro urbano. La punta dell'avanzata più vicina è a 9 chilometri dalla città. Dentro Tripoli, però, ci sono quinte colonne di Haftar in distretti come Fashlum, che sarebbero pronte a mobilitare la popolazione in manifestazioni a favore del generale. «Il 60-70% degli abitanti della capitale non ne può più dello strapotere delle milizie, delle file davanti alle banche per ritirare i propri soldi, di stipendi che non arrivano, dei black out elettrici. Per questo sperano che arrivi Haftar considerandolo il male minore» spiega una fonte del Giornale in prima linea a Tripoli. Non è valso a nulla nemmeno l'appello dell'Onu per una tregua umanitaria di due ore, non accolto dalle parti.

Il generale non si è mosso senza il via libera di potenti padrini che vanno dai sauditi ai francesi.

Ieri il premier libico Serraj ha convocato l'ambasciatrice di Francia protestando duramente con Béatrice du Hellen, «per il collegamento tra il suo paese e l'attuale attacco contro la capitale».

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