Politica

Capi religiosi, economici e politici Ecco chi sono e cosa fanno gli imam

Scelti dalla comunità o autoimposti, senza controlli né regole definite

Gian Micalessin

Il Ministero dell'Interno ne ha espulsi sette nel 2015 e uno nel 2016. Tre sono stati indagati in un colpo solo ieri. Ma chi sono gli imam? E perché talvolta tra le loro fila si nascondono dei predicatori d'odio? I due quesiti che arrovellano la mente di molti cittadini quando ascoltano la notizia dell'espulsione o dell'arresto di un imam non dipendono dalla loro scarsa conoscenza dell'Islam, ma piuttosto dall'assoluta mancanza di norme certe sulla nomina dei capi religiosi delle comunità sunnite.

Mentre per la religione sciita gli imam sono delle vere e proprie guide spirituali e teologiche (non a caso il nome di Khomeini era seguito da quell'appellativo) all'interno del culto sunnita la nomina dell'imam spetta molto spesso alla comunità locale o ai frequentatori delle mosche. La stessa etimologia del termine «imam» indica semplicemente «colui che guida» la preghiera nel senso materiale del termine ovvero stando davanti ai fedeli inginocchiati, recitando l'orazione e scandendo i movimenti rituali che l'accompagnano. Per svolgere questa funzione non è necessario aver frequentato una scuola religiosa, né esser stato designato da un potere religioso superiore, basta semplicemente esser stato scelto da una comunità di credenti o, in alternativa, aver imposto loro la propria autorità. Sbaglia dunque chi considera l'imam alla stregua di un parroco designato e prescelto da una catena gerarchica ecclesiale. Ma cade nell'equivoco anche chi ritiene che l'imam si limiti di fatto a guidare la preghiera.

A differenza di un parroco che ben difficilmente s'addentrerà in discussioni politiche l'imam ha non solo la facoltà, ma il dovere d'indirizzare la propria comunità di fedeli indicando loro la giusta strada nell'ambito religioso, politico e sociale. Dunque la predicazione di un imam, a differenza di quella di un prete cattolico contemporaneo, è pervasiva, assoluta e non prevede deroghe. Spetta a lui, e solo a lui, indicare la soluzione alle incognite socio politiche alla luce della sua personale interpretazione del Corano. Ma non solo. A differenza di un parroco l'imam può regolare tutte le attività che avvengono all'interno della moschea come l'educazione dei bambini al culto musulmano, le attività sociali, l'assistenza agli orfani e la distribuzione della carità alle famiglie bisognose. Grazie a questo ruolo può dunque creare una sorta di micro-stato completamente alternativo alle istituzioni del paese che lo ospita. Ecco perché molto spesso l'arrivo di un imam autoritario formatosi all'interno di comunità wahabite o della Fratellanza Musulmana può produrre non solo sermoni inneggianti all'odio e alla violenza, ma preoccupanti fenomeni collettivi di radicalizzazione.

La vasta autonomia riconosciuta all'imam dal culto sunnita diventa ancor più preoccupante e pericolosa all'interno di quella galassia informe e sconosciuta costituita dalle comunità islamiche italiane. In un paese dove il numero dei credenti musulmani vien stimato con estrema e riduttiva approssimazione ad un milione e mezzo e dove l'ultimo vero monitoraggio dei centri di preghiera islamici svolto dal ministero dell'Interno risale al 2007 - con 735 luoghi di culto, tra cui 156 moschee - ipotizzare chi siano, cosa predichino e quanti siano gli imam resta un autentico rebus. E neanche il recente provvedimento per il «riconoscimento con decreto ministeriale» degli imam annunciato nei giorni scorsi dal Ministro dell'Interno Angelino Alfano sembra la strada giusta per decriptare il mistero. Il riconoscimento verrà infatti concesso solo ai cittadini italiani che ne faranno domanda. E comunque nessuna restrizione verrà imposta a coloro che non lo posseggono.

Gli imam clandestini abituati a seminare odio e fanatismo nel segreto di sottoscala, garage e cantine diventati dependance dello jihadismo internazionale potranno dunque continuare a predicare indisturbati.

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