Politica

Carroccio in agitazione: non possiamo mollarlo e subire il diktat del M5s

Giorgetti: «Dopo Siri tocca a me? Può darsi» Fontana: così non va, basta cedere su tutto

Carroccio in agitazione: non possiamo mollarlo e subire il diktat del M5s

Fa trapelare, tramite le consuete veline, di essere «irritato». Ma stavolta Matteo Salvini sa bene di essere stato incastrato, come un Roger Rabbit qualsiasi. Il suo compare di governo Luigi Di Maio, e l'ormai allineatissimo (alla Casaleggio) premier Conte lo hanno attirato in un trappolone da cui il vicepremier leghista non sa più come uscire: se si incaponisce a difendere il suo Armando Siri verrà additato come colui che provoca una crisi di governo per difendere la poltrona di un «indagato». Se fa finta di niente e lo lascia «dimissionare», la darà vinta su tutta la linea ai suoi alleati. E intanto il suo partito ribolle, come mai prima d'ora: se il «Capo» è capace di sacrificare sull'altare della maggioranza gialloverde un suo strettissimo collaboratore, chi sarà il prossimo a venire mollato? Nessuno, nella Lega, si sente più al sicuro. E l'allarme e il malcontento trapelano dalle parole di pezzi da novanta del Carroccio. Come Giancarlo Giorgetti: «Dopo Siri io il prossimo? Non so, può darsi. A turno toccherà a tutti. Io sono tranquillissimo e il governo ha i suoi problemi come potete vedere». E a chi gli chiede come finirà nel governo, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio replica secco: «Non lo so. Io sono un sottoposto, non sono un capo, quindi parlasse il capo». Ma c'è anche il governatore della Lombardia, Attilio Fontana, che ammette la sconfitta della Lega e lascia trapelare una critica chiara alla gestione della faccenda da parte di Salvini: «Da leghista, registro con rammarico che su una vicenda delicata è passata una linea opposta alla nostra e hanno avuto la meglio i grillini, facendo passare un principio sbagliatissimo». E dopo aver condannato l'alleanza coi pentastellati («Io per fortuna governo con il centrodestra, molto più affidabile») invita Salvini a «fare una riflessione». Del resto, sottolineano - sia pur sottovoce - alcuni leghisti, «ce la siamo cercata: abbiamo ceduto su tutto». E giù l'elenco dei provvedimenti allegramente votati da Salvini e in totale contraddizione con un presunto «garantismo» leghista: dallo stop alle prescrizioni al cosiddetto «Spazzacorrotti», fino all'affossamento della riforma della carcerazione. Senza contare che, con i politici non appartenenti alla sua tribù, il capo leghista si è sempre comportato esattamente come Di Maio e Conte con Siri: basti pensare al caso più recente, la perentoria ingiunzione alla presidente dem della Regione Umbria, Catiuscia Marini («Deve dimettersi subito!), per l'inchiesta sulla sanità. Nel cul de sac, insomma, Salvini si è infilato da solo, e spesso forzando la mano ai colleghi di partito che cercavano di frenarlo, come sul provvedimento anti-prescrizione. E ora, mentre la testa di Siri viene infilata nella ghigliottina in diretta tv dai grillini, lui non può far altro che tener buoni i suoi: «Non bisogna rispondere ad attacchi e provocazioni, per quanto ci riguarda il governo va avanti». E intanto tenta di spostare l'attenzione su altro: «Conte mi sfidi sulle tasse, non sulla fantasia», dice, e accusa il premier di perder tempo sulla flat tax: «Ogni giorno speso senza farla è un giorno che non torna più. Qualche alleato di governo dice di parlarne più avanti. Io dico che ridurre le tasse al 15 per cento è urgente per l'Italia».

Contro i magistrati si sfoga, ma parlando d'altro: «Se qualche giudice vuole fare politica e cambiare le leggi lasci il tribunale e si candidi con la sinistra», tuona dopo la sentenza di Bologna che ha bocciato il «suo» decreto Sicurezza.

Commenti