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Caso Bija, per il governo il trafficante ha fornito false generalità

Arriva la prima risposta del governo sul caso Bija, il trafficante che l'11 maggio del 2017 è entrato in Italia come membro di una delegazione libica per partecipare ad un incontro al Cara di Mineo

Caso Bija, per il governo il trafficante ha fornito false generalità

Approda in parlamento la vicenda relativa al trafficante libico Bija, presente in Italia nel maggio del 2017 per partecipare, in qualità di rappresentante della Guardia Costiera libica, ad un incontro con funzionari italiani all’interno del Cara di Mineo.

Una polemica che nasce all’indomani del reportage di Avvenire, in cui vengono mostrate foto del trafficante nella riunione tenuta oramai più di due anni fa nella struttura d’accoglienza siciliana, oggi chiusa.

Il caso arriva in parlamento grazie a tre interrogazioni depositate nei giorni scorsi presso la commissione affari costituzionali della Camera. Si chiede conto al governo di riferire, partendo dalle informazioni in possesso, quanto avvenuto due anni fa in Sicilia mentre a Palazzo Chigi siede Paolo Gentiloni ed al Viminale Marco Minniti.

A rispondere ai parlamentari, è il sottosegretario gli interni Achille Variati, del Partito Democratico: “Nell' elenco dei componenti della rappresentanza fornita dall' Oim, figurava il seguente nominativo, Abdurahman Salem Ibraim Milad che era - afferma Variati nella sua risposta riportata da Avvenire - in possesso di regolare visto di ingresso per breve periodo, rilasciato dalla rappresentanza diplomatica italiana in Libia”.

Una versione, quella data dal rappresentante del Viminale in commissione, simile a quella fatta trapelare nei giorni scorsi da fonti del ministero dell’interno, secondo cui Bija è entrato in Italia grazie a dei documenti falsi.

“Il nominativo in questione – ha poi proseguito Variati – presentato come ufficiale della Guardia Costiera di Zuara, sulla base degli atti acquisiti, è quello che poi è stato ricondotto ad Abd al-Rahman al-Milad”.

Dunque, secondo la versione fornita dal rappresentante dell’attuale governo, Bija ha storpiato il suo nome e grazie a questo ha potuto ottenere il visto d’ingresso per l’Italia. Il trafficante è maggiormente noto con l’abbreviativo del suo vero nome, ossia Abdou Rahman. Per intero, il nominativo del soggetto libico in questione diventa quello fornito dal sottosegretario Variati.

Bija è invece il nome di battaglia, acquisito quando nel 2011 ha imbracciato per la prima volta le armi durante la guerra contro Gheddafi. Per questo, ricostruendo quella che è la versione dell’esecutivo, quando le autorità italiane hanno letto Abdurahman Salem Ibraim Milad nel documento, non hanno riconosciuto uno dei trafficanti più pericolosi dell’intera Libia.

Una ricostruzione però che non ha soddisfatto del tutto coloro che hanno depositato le interrogazioni, ossia il presidente della commissione Giuseppe Brescia (M5S), Riccardo Magi (+Europa) e Renate Gebhard (Gruppo Misto). C’è scetticismo soprattutto sul fatto che funzionari italiani non riconoscessero all’epoca il volto od il nome del soggetto a cui hanno rilasciato il visto per entrare nel nostro paese. Inoltre, nella versione data dal governo si parla di una lista fornita dall'Oim, l'agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di migranti, facendo intendere che è proprio questo ente ad aver organizzato l'incontro. Al contrario, da Ginevra nei giorni scorsi l'Oim fa sapere che l'iniziativa del vertice del maggio 2017 è tutta del Viminale.

Allo stato attuale poi, risulta impossibile sapere quali sono i rapporti oggi non solo con Bija ma, in generale, con altri possibili trafficanti libici.

Da questo punto di vista, come sottolinea Nello Scavo, il giornalista che ha realizzato il reportage per Avvenire, non è stata fornita dal governo alcuna risposta ai parlamentari.

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