Politica

Il Cav è inquieto per i processi ma conferma il sì alle riforme

È deciso a rispettare il patto del Nazareno: "Manterremo la parola data". Verdini e Romani provano a convincere i dissidenti a rientrare nei ranghi 

Il Cav è inquieto per i processi ma conferma il sì alle riforme

Berlusconi ha in testa solo la sentenza di oggi. Il verdetto sul caso Ruby, giunto all'Appello, potrebbe arrivare già nel pomeriggio e il Cavaliere non si aspetta nulla di buono. Sebbene abbia approvato in pieno l'arringa difensiva imbastita dai suoi legali Franco Coppi e Filippo Dinacci, l'ex premier non nutre troppe speranze: difficile che la procura di Milano smentisca in toto il pm di primo grado, Ilda Boccassini. Berlusconi continua a ripetere che il processo non avrebbe dovuto neppure cominciare; continua a professarsi iper innocente; continua a ritenersi vittima di un tritacarne mediatico-giudiziario che pare non aver fine. E se, magari non oggi ma tra qualche giorno, dovesse arrivare un'altra condanna poi confermata in Cassazione, sarebbero davvero guai. Così, con l'umore tendente al nero, riparte per Milano in anticipo, annullando la prevista partecipazione alla manifestazione di solidarietà in piazza del Popolo a Roma.
Un rientro ad Arcore amaro che, per di più, lascia aperte molte questioni all'interno di Forza Italia, sebbene il Cavaliere speri che i malpancisti del patto del Nazareno alla fine si rimettano in carreggiata. Quel che è certo è che, anche qualora oggi i giudici dovessero confermare la sua condanna, Berlusconi non tirerà il freno a mano sulle riforme. «Abbiamo dato la nostra parola e la manterremo» è il mantra che da giorni va recitando l'ex premier. Qualcuno, invece, aveva ipotizzato che, a fronte dell'ennesimo schiaffo da parte della magistratura milanese, il Cavaliere avrebbe potuto far saltare il tavolo. Invece no. Avanti così, senza curarsi troppo dei dissidenti. Chi gli sta vicino lo rassicura: «Vedrai che anche se la riforma non è il massimo molti critici poi si convinceranno che non c'è altra strada oltre quella che hai indicato tu». Inutile far partire il pallottoliere ma i sostenitori della linea Verdini-Letta-Romani ritengono che i dissidenti che si spingeranno fino in fondo votando «no» in Aula saranno una decina, non di più. Vero? A sentire i dissidenti, no. Anzi. La trentina di senatori scettici sarebbe destinata a crescere di numero col passare delle ore.
Il Cavaliere se ne disinteressa e lascia che a sbrogliare la matassa siano Verdini e il capogruppo al Senato Paolo Romani. Ma la sensazione è che nessuno voglia arrivare a una conta che avrebbe il sapore di un redde rationem interno. Raffaele Fitto, ora europarlamentare ma considerato capofila del niet all'abbraccio mortale con Renzi, smussa i toni: «Ma quale rivolta? Ma quale fronda? Ho soltanto, lealmente, espresso le mie perplessità su una riforma che ritengo pasticciata. E non sono il solo». Dice anche: «Berlusconi non lo più sentito e siamo rimasti fermi alla mia ultima lettera pubblica». Una lettera fatta uscire quattro giorni fa in cui si snocciolavano tutte le ragioni al «no» alle riforme targate Boschi-Renzi. In molti hanno letto una sorta di ultimatum: una dichiarazione di guerra preludio a chissà quale scissione. Lettura sballata. Lo dice Fitto: «Non mi muovo da Forza Italia»; lo conferma un uomo a lui vicino, l'ex ministro Saverio Romano: «Leggo su un quotidiano che sarei tra coloro che spingerebbero per abbandonare il Cavaliere. Non me lo sogno nemmeno di abbandonare Silvio Berlusconi, che per me, a differenza del giornalista, è il Cavaliere, non l'ex Cavaliere!». A cercare di tenere insieme le truppe, Paolo Romani che precisa: «Berlusconi ha tenuto conto delle decisioni dei gruppi e ha assunto una decisione, come è nei suoi pieni poteri fare. Fitto pretende una discussione, legittima, sulla democrazia interna.

C'è chi parla di primarie e chi di congressi, ma questi sono temi al di fuori delle riforme».

Commenti