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Cento espulsioni per la jihad. Zero denunce dai musulmani

Omertà? Collaborazionismo? La comunità islamica zitta finora non ha aiutato le autorità

Cento espulsioni per la jihad. Zero denunce dai musulmani

Ci sono le parole rivolte a Dio e il gesto in aiuto del prossimo. La preghiera ma anche la denuncia. E i numeri sono impietosi.

L'ultimo dato l'ha fornito il ministero dell'Interno il 28 luglio scorso: dall'inizio del 2015 il Viminale ha eseguito 102 espulsioni di «soggetti evidenziati per radicalizzazione o sostegno ideologico al jihad». Otto imam, e poi detenuti, ma anche aspiranti guerriglieri dell'Isis, navigatori solitari su siti sospetti, fondamentalisti che frequentano moschee o centri culturali. Fatti da mettere sulla bilancia con altri fatti.

Tra queste 102 persone, non ne risulterebbe nessuna denunciata da esponenti di una comunità islamica. Una notizia inquietante, che parla se non di collaborazionismo, almeno di omertà o contiguità purtroppo note nel nostro Paese: con la mafia e la criminalità organizzata, temi ancora attualissimi, e con il terrorismo, ai tempi degli eskimi in redazione e dei compagni che sbagliano.

A denunciare la circostanza è il deputato Paolo Grimoldi, segretario della Lega lombarda. Il tema è particolarmente sentito in Lombardia perché la regione è un epicentro del fenomeno: una consistente percentuale di jihadisti è stata individuata in Lombardia. «Tra tutti gli espulsi non ci risulta che ci siano state denunce da parte di componenti della comunità islamica. Le espulsioni sono frutto delle indagini e delle attività di intelligence» dice il parlamentare leghista, che ha studiato il fenomeno sia da Milano che da Roma.

«Ho già sufficienti elementi e informazioni per esserne sicuro - spiega Grimoldi -, ma per un'ulteriore verifica ho intenzione di presentare un'interrogazione parlamentare per sapere se esistano denunce da parte di membri delle comunità islamiche sotto copertura. Ne dubito, dal momento che molti rappresentanti delle comunità islamiche fanno fatica persino a scrivere lettere di solidarietà quando ci sono attentati e stragi».

Le prime presenze di imam musulmani nelle chiese cattoliche per solidarietà aprono spiragli di ottimismo. Eppure la mancanza di denunce che si respira nel mondo islamico italiano fa temere ciò che è certezza oltre confine e cioè che anche in Italia esistano piccole Molenbeek, il quartiere di Bruxelles dove è stato cresciuto, allevato, addestrato Salah Abdeslam, uno degli autori della strage di Parigi del novembre 2015: è a Molenbeek che la polizia l'ha arrestato quattro mesi dopo, protetto nella latitanza da un'intera comunità.

A Milano Abdel Shaari, direttore del Centro islamico di viale Jenner, parlando di padre Jacques sgozzato a Rouen, in un'intervista alla Stampa di mercoledì scorso ha dichiarato: «Nel mirino ci siamo anche noi musulmani. Gli estremisti vanno denunciati». Eppure Jenner Abu Imad, collaboratore di Shaari, espulso nel 2013, è stato a lungo imam di viale Jenner anche dopo una condanna per terrorismo.

È confortante pensare oggi a un ravvedimento di Shaari, ancora di più se potesse essere operoso.

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