Attacco al bus a Milano

"C'era benzina ovunque e gridava: ora morirete"

La bidella in ospedale: "Chiedevamo aiuto, ma nessuno ci credeva. Aveva in tasca una pistola"

"C'era benzina ovunque e gridava: ora morirete"

Qualche minuto prima delle undici. Strano, il pullman è in ritardo. «Non era mai successo», racconta ora la signora Tiziana Magarini, bidella cinquantaquattrenne, da un paio d'anni alla scuola media Vailati. «Ancora più strano perché quel senegalese che conoscevo di vista ci ha voluto caricare in un punto insolito». Siamo al pronto soccorso del San Raffaele: in una stanzetta sono radunati tre ragazzini, con piccole escoriazioni, i loro genitori sempre più spaventati con l'avanzare del racconto e lei, la vera protagonista di questa storia sconvolgente. «Mi sono seduta al primo posto, al fianco dell'autista, e all'improvviso ho visto che si rigirava fra le mani un coltello. Sono rimasta interdetta, ho fissato negli occhi i due insegnanti di educazione fisica, due uomini. Non capivamo».

Sulla carta doveva essere un tragitto molto breve, un chilometro come di routine dal centro di Crema alla periferia e alla palestra. Ma il tragitto diventa molto più lungo e complicato: almeno 35 chilometri e un'ora e mezzo fra il traffico indifferente della Paullese. «Mi ha passato delle fascette. E mi ha detto: Lega i professori. Loro sono sbiancati, io ero sempre più disorientata ma mi facevo coraggio: Sarà uno scherzo. Lui si è alzato e ha sistemato dei lucchetti e delle catene per bloccare le porte. Poi mi ha urlato: Falli tacere, falli stare zitti. Sempre in piedi, ha scandito alcune parole: Adesso facciamo un viaggetto. Ha fatto balenare un accendigas e ha estratto per un attimo dalla tasca una pistola».

Giulia (nome di fantasia, come gli altri), un taglietto al dito, riparte da quel momento: «Tiziana è venuta verso di noi a ritirare i cellulari, era pallidissima e in quell'attimo abbiamo avuto paura, quasi ci implorava: Questo è matto, cerchiamo di non farlo uscire di testa».

Il guidatore dà un altro ordine alla donna che ora ha i pantaloni lacerati, le ginocchia gonfie per le botte e le cadute, lacrime parcheggiate su tutto lo spazio del viso. «Mi ha passato una tanica di benzina e mi ha urlato di buttarla sul pavimento. Nel caos ho cercato di spargerla giù dalle fessure, verso le porte, cosi da limitare i danni».

Il pullman parte. I due docenti sono legati, in piedi, a un palo di sostegno. Anche alcuni ragazzi sono bloccati. Ma dietro un ragazzino, un egiziano dal coraggio straordinario, non si spaventa per niente: «Era seduto di fianco a me - spiega Giovanna, un frammento di vetro nel braccio - e all'altezza della piscina di Crema ha chiamato la polizia. Sentivo le sue parole: Un pazzo ha sequestrato il pullman, siamo due classi. È armato, vi prego non è uno scherzo, fate presto».

Ahmed chiama una seconda volta, poi una terza. Contatta i genitori, insiste con le forze dell'ordine, le aggiorna sui movimenti del mezzo che intanto viaggia verso Milano. «Alla quarta o alla quinta chiamata - riprende Giovanna - abbiamo cominciato a suggerirgli le parole. E intanto facevamo cenni agli automobilisti». «Una ragazza - aggiunge Giulia, pure dimessa dopo una breve medicazione, mi ha riso in faccia pensando a un gioco». Altri bambini, tutti fra i 12 e i 13 anni, recuperano il cellulare e chiamano le famiglie. Una situazione quasi incredibile. Da incubo.

«Accelerava e frenava di botto - va avanti Tiziana - abbiamo rischiato più di una volta l'incidente, ma cercava di non andare troppo veloce per insospettire gli altri conducenti. E continuava a dire: Andiamo a Linate, Linate. E ancora: Voi morite, voi morite, io devo vendicare i bambini morti nel mare. Ma poi cambiava versione: Se state buoni, non vi succederà niente. A un certo punto si è fermato e mi ha passato un'altra tanica. Benzina, benzina dappertutto. E poi da un borsone ha tirato fuori coperte e stracci, li ha imbevuti e li ha appesi ai vetri, oscurando la parte anteriore del mezzo».

Alle porte di Milano l'epilogo. «Abbiamo visto i carabinieri, l'elicottero che volava basso, sembrava un film». Ora il racconto è corale: «Urlavamo che non sparassero perché avevamo paura di saltare in aria». Poi i ragazzi escono dai vetri. Resta lei, Tiziana: «Ero con lui, mi sono sentita perduta.

Ma un attimo prima che desse fuoco a tutto un carabiniere mi ha afferrato e mi ha spinto fuori».

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