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Chi gioca a far fuori The Donald

Bufera sulle rivelazioni top secret al governo russo. È iniziata la corsa per fare fuori The Donald con ogni mezzo

Chi gioca a far fuori The Donald

Premettiamolo, fin qui Donald Trump più che un presidente sembra un maldestro arruffone incapace di comprendere la differenza tra le beghe da consiglio d'amministrazione e gli scenari della grande politica internazionale. Da qui, però, a farne una quinta colonna al servizio del Cremlino ce ne passa. Eppure su quel tasto battono dal giorno dell'elezione gli avversari politici e i media liberal. Il motivo non è certo la ricerca della verità, ma è piuttosto favorire una larga vittoria democratica alle elezioni di mid-term. Quel risultato, unito ai non pochi nemici repubblicani di Trump, garantirebbe i due terzi dei voti necessari al Congresso per avviare una procedura d'impeachment e ottenere la destituzione del presidente più detestato dal potere americano dall'indipendenza ad oggi. A questo punta anche il Washington Post quando accusa Trump di aver rivelato al ministro degli esteri russo Sergei Lavrov le fonti che hanno permesso di scoprire i piani Isis per colpire i voli diretti negli Usa. Il peccato, ammesso dallo stesso Trump, è assolutamente veniale. L'intelligence russa, assai meglio informata della Cia sulle questioni siriane, non aveva bisogno delle smargiassate di Trump per scoprire che gli agenti giordani infiltrati in Siria e Iraq sono la miglior fonte d'intelligence sull'Isis. E sono proprio le rivelazioni del quotidiano di Jeff Bezos, il magnate di Amazon a cui Trump vuole far pagare le tasse negli Usa, ad aver trasformato in notizia un segreto di Stato. Ma questo poco conta perché da novembre l'obbiettivo della cosiddetta grande stampa americana non è più informare, ma azzoppare il presidente. E il Washington Post non si preoccupa manco di nasconderlo. «Per il Congresso è giunto il momento di lanciare un'indagine d'impeachment per ostruzione della giustizia sul Presidente Trump», spiegava domenica sullo stesso quotidiano Laurence Tribe, docente di legge a Harvard, l'università culla del potere americano. Quel che conta insomma non è la volontà dei 63 milioni di americani schieratisi con un candidato che si diceva pronto a lottare contro le elite, ma la salvaguardia del sistema di potere di quelle elite. E proprio per questo Trump rischia di venir fatto fuori.

Tutto il resto sono solo pallottole regalate ai nemici pronti a fucilarlo.

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