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La Cina è a fine corsa e ora diventerà molto simile a noi

D'ora in avanti i signori con gli occhi a mandorla si specchieranno sempre più in noi: per assomigliarci completamente manca loro soltanto un bel sindacato guidato da Landini e da Camusso

La Cina è a fine corsa e ora diventerà molto simile a noi

L'economia è una materia incomprensibile, soprattutto per gli economisti che, poveracci, non ne azzeccano mai una benché si diano tante arie. Economia significa - traducendo pedestremente dal greco - gestione della casa. Un esercizio teoricamente facile, ma praticamente difficile, se non si applica il cosiddetto principio del «conto della serva». Ovvero: se incasso 10 al mese e ne spendo 9, sono in attivo; altrimenti, fallisco. La Grecia è fallita perché sprecava più di quanto producesse.

L'Italia si è salvata, nonostante il debito massiccio poiché si è indebitata soprattutto nei confronti degli italiani. Il che conferma la validità del detto: il convento è povero, ma i frati sono ricchi. Infatti, noi piagnoni e mandolinari siamo detentori di un record mondiale: abitiamo in case di proprietà e abbiamo notevoli risparmi, più di tutti i popoli europei. Siamo anche evasori fiscali incalliti, ma qui il discorso si farebbe lungo; per risolvere questo problema basterebbe controllare i depositi bancari e verificare i prelievi. Se un cittadino sgancia per gli acquisti cifre superiori a quelle che dichiara nella denuncia dei redditi, si vede che non paga le tasse.

Ma nessuno verifica, anzi. Gli esattori controllano a tappeto gli onesti (o quasi) e trascurano i furbacchioni, che in effetti la fanno franca. Vabbè, è una vecchia storia. Quella nuova è che la Cina ha smesso di incrementare i propri affari e ha cominciato a calare. Perché? A occhio e croce, la risposta è una sola: l'economia è un uccello che può volare molto in alto per un periodo, poi scende e trova un punto di equilibrio. In basso. È successo dappertutto, non solo in Oriente.

La Cina comunista ha scoperto tardivamente il mercato e lo ha cavalcato, crescendo a dismisura, per oltre 20 anni. Ha raggiunto il diapason, dopo di che si è adagiata e adesso fatica a rimanere in quota. D'altronde, non è possibile ascendere fino in paradiso. Tutte le economie vanno su e giù. Pechino non fa eccezione. Probabilmente, i cinesi non hanno esaurito la spinta verso l'empireo, ma le energie sì, e sono destinati a darsi una calmata. I consumi di un Paese sono proporzionali al suo reddito complessivo: se si fermano vuol dire che hanno momentaneamente sfondato il tetto della situazione finanziaria contingente.

I provvedimenti assunti dal governo ex maoista sono palliativi. Tamponano le perdite, non le colmano. Le ferree leggi del comunismo sono relativamente efficaci: assicurano disciplina, ma non garantiscono uno sviluppo eterno. Se poi consideriamo che oltre un terzo della popolazione vive malamente in zone agricole e poverissime, si comprende il motivo per cui la Cina è in stallo: o lo sviluppo è omogeneo oppure è fatale che, prima o poi, il meccanismo virtuoso si inceppi.

D'ora in avanti i signori con gli occhi a mandorla si specchieranno sempre più in noi: per assomigliarci completamente - premesso che sono lavoratori indefessi e non lazzaroni come parecchi italiani - manca loro soltanto un bel sindacato guidato da Maurizio Landini e da Susanna Camusso. Quando l'avranno - suppongo presto - andranno in malora alla velocità della luce. Se si doteranno di un welfare mastodontico e oneroso come il nostro, precipiteranno nella miseria, da cui sarà impossibile che riescano a risollevarsi.

I cicli positivi e negativi durano in media un ventennio. Quello favorevole alla Cina sta per concludersi: questo mi sembra chiaro. Gli economisti non sono d'accordo? Segno che abbiamo ragione. In riferimento alla Grecia, che al confronto della Cina è uno sputo, rileviamo che Tsipras non è più l'incendiario degli esordi e si è trasformato in pompiere. Perderà le elezioni e sparirà dalla ribalta, esattamente come coloro che l'hanno preceduto al governo. Anche per gli ellenici pesa l'incapacità di spendere meno di ciò che hanno in tasca. Ed essi hanno le tasche vuote. Sono pieni di debiti e di pretese: le due cose non si conciliano. L'Italia invece se la cava. Sino a quando? Questa è la domanda delle cento pistole.

Più una, che si chiama Matteo Renzi.

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