Guerra in Ucraina

Colloquio tra Xi e Zelensky. "Pechino è per la pace" (ma il tempismo è sospetto)

Una "lunga e significativa telefonata". Così il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha descritto la chiamata lungamente attesa e finalmente ricevuta ieri da Pechino

Colloquio tra Xi e Zelensky. "Pechino è per la pace" (ma il tempismo è sospetto)

Una «lunga e significativa telefonata». Così il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha descritto la chiamata lungamente attesa e finalmente ricevuta ieri da Pechino. All'altro capo del filo c'era quello Xi Jinping che, pur non perdendo occasione per ribadire la portata storica e la solidità della sua intesa con il dittatore russo Vladimir Putin, si è da lungo tempo impegnato presentando anche un controverso piano di pace in dodici punti a svolgere una mediazione cinese tra la Russia e l'Ucraina.

La conversazione tra i due capi di Stato (la prima da quando, il 24 febbraio 2022, truppe russe hanno invaso l'Ucraina) è durata un'ora. Secondo fonti ufficiali cinesi Xi ha insistito con Zelensky che la Cina «è sempre stata dalla parte della pace» e che la sua priorità è la promozione di colloqui a quel fine. A conferma della concretezza delle proprie intenzioni, è stato annunciato dal ministero degli Esteri che la Cina invierà in Ucraina «e in altri Paesi» una speciale delegazione con l'obiettivo di lavorare con tutte le parti coinvolte per giungere a una soluzione politica del conflitto in corso.

La reazione di Kiev ha avuto due facce diverse. Quella di Zelensky è stata molto diplomatica (come del resto quella americana, che si limita a salutare «un passo positivo»): il presidente ucraino ha detto che la telefonata rilancerà positivamente le relazioni con la Cina, ha ricordato l'importanza che la Cina non mandi armi alla Russia, ha annunciato l'invio di un nuovo ambasciatore a Pechino, ma non ha fatto accenno a sviluppi per la pace in conseguenza di una eventuale mediazione cinese. Il suo ministro degli Esteri Kuleba ha detto sibillinamente che la Cina può «avere un ruolo importante», ma ha chiarito due punti fondamentali: qualsiasi sforzo di mediazione dovrà tener conto del diritto ucraino di recuperare i propri territori (dunque Kiev ribadisce che non intende cederne), ma anche non pretendere che i combattimenti cessino mentre si discute. A queste condizioni, ha precisato Kuleba, «qualsiasi mediazione» è benvenuta.

L'Ucraina, insomma, ringrazia la Cina per il suo impegno, è lieta di rilanciare le relazioni bilaterali con un Paese che è il suo primo partner economico, ma non accetterà da parte sua condizioni che possano avvantaggiare l'invasore russo. Xi ha detto ieri a Zelensky che «dialogo e negoziati sono l'unica via d'uscita da questa situazione», ma a Kiev non sono per niente d'accordo. Come tutti sanno, infatti cinesi inclusi una controffensiva militare ucraina con l'obiettivo di recuperare territori e mettere la Russia con le spalle al muro è imminente. E, considerato dal punto di vista di Kiev e dei suoi alleati occidentali, il tempismo della telefonata di Xi è quantomeno sospetto. Perché è facile prevedere che la Cina (che è tutt'altro che equidistante tra le due parti) insisterà per una tregua che, ovviamente, avvantaggerebbe soltanto Mosca. E non sorprende che l'immediata reazione russa al colloquio tra Xi e Zelensky sia stata una dura accusa all'Ucraina di «non volere la pace».

Il gioco è chiaro. In questa fase l'inerzia della guerra pende dalla parte dell'Ucraina, che ha fatto il pieno di armi occidentali e ha tutta l'intenzione di usarle per mettere l'aggressore russo nella massima difficoltà possibile: da qui l'accoglienza favorevole solo alle proprie chiare condizioni a una mediazione, cinese o no. A Putin, invece, conviene fingere di vestire i panni del responsabile statista disposto a discutere di pace: un compromesso politico adesso congelerebbe le sue conquiste e non gli vieterebbe nel prossimo futuro, in qualsiasi momento lo ritenesse opportuno, di tornare ad aggredire l'Ucraina. Sa bene che Zelensky non accetterà le condizioni cinesi e che potrà accusarlo, con la sua tipica sfacciataggine, di «volere la guerra».

Da tener presente anche ricadute su un più ampio livello internazionale: una pace ingiusta ai danni dell'Ucraina incoraggerebbe l'intero asse antioccidentale a insistere, a partire da Taiwan, nella sua postura di sfida aggressiva, che dev'essere invece fermata.

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