Politica

La colpa di scrivere da destra

La persecuzione che gli tocca sopportare ora, su iniziativa dell'orrenda corporazione, non è dovuta a ciò che egli mette nero su bianco, ma alla connotazione politica del quotidiano

La colpa di scrivere da destra

I lettori del Giornale conoscono bene le ultime vicende di Magdi Cristiano Allam, sotto procedimento disciplinare promosso dall'Ordine dei giornalisti per motivi pretestuosi: egli sarebbe islamofobo, come risulterebbe dalla sua intensa attività pubblicistica. Sono sicuro che alla fine sarà assolto. Non posso immaginare il contrario: sarebbe assurdo. Soprattutto coloro che eventualmente dovessero condannarlo farebbero una figuraccia e si esporrebbero non solo a critiche aspre, ma anche al dileggio di chiunque abbia un minimo di senso del ridicolo. Come si fa in un Paese ufficialmente democratico a punire una penna che esprime opinioni (sempre) lecite oltre che condivise praticamente dalla maggioranza dei cittadini?

Non credo che la commissione incaricata di giudicare sia tanto ingenua e stolta dal commettere uno scempio simile. Ma il punto è un altro. Frequento Allam da parecchio tempo. È un signore che mastica la materia di cui tratta; ovvio, è nato in Egitto da famiglia musulmana, ha analizzato con cura i costumi e la religione della sua gente, insomma non parla a vanvera quanto tanti colleghi nostri, inclusi quelli che oggi tradiscono soddisfazione perché lui - editorialista esperto - invece di esser applaudito per la competenza di cui fa sfoggio è umiliato e indicato al popolo quale reprobo, avendo avuto il coraggio e la lucidità scientifica di denunciare le malefatte degli estremisti di Allah.

Per inciso, desideriamo rammentare che le vittime delle cosiddette guerre di religione, follemente combattute in nome di Dio, sono più numerose di quelle dichiarate per questioni economiche e politiche. Allam, come ogni giornalista, può piacere o no. Questo è scontato. Ma negargli il diritto di divulgare le proprie idee antislamiche è una forma di violenza tollerabile soltanto nelle nazioni ad alta densità di musulmani estremisti. Chi vuole tagliare la lingua a Magdi, pertanto, è parente di chi usa eliminare gli eretici e gli oppositori mediante tribale decapitazione. E chi pretende di zittirlo con una sentenza, pur burocraticamente impeccabile, si pone sullo stesso piano degli assassini che uccidono gli avversari, quantomeno ne è indirettamente complice.

E ora veniamo al nocciolo per dimostrare che le nostre - le mie - non sono elucubrazioni acrobatiche. Allam esercita la professione giornalistica da oltre trent'anni. Ha sempre sostenuto le stesse tesi, compatibilmente con l'attualità e la cronaca dei fatti. Ha collaborato a lungo con Il Manifesto , quotidiano comunista, e nessuno gli ha mai torto un capello. Chi avrebbe osato deplorare un signore ospitato addirittura nel tempio giornalistico della sinistra più spinta? Egli poi fu assunto alla Repubblica in qualità di inviato speciale ed editorialista, firmando sovente pezzi in prima pagina.

In particolare, all'inizio del terzo millennio, in occasione dell'abbattimento delle Torri gemelle, avvenuto non per volontà dei boy scout, ma organizzato e perpetrato dai terroristi di Osama Bin Laden, Magdi, chiamato a commentare quei tragici avvenimenti, si elevò a star del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari. I suoi interventi censori nei confronti dei fondamentalisti musulmani erano improntati alla stessa indignazione di quelli pubblicati più tardi sul Corriere della Sera , dove fu accolto con tutti gli onori. Basti pensare che fu conferito allo scriba egiziano il titolo di vicedirettore.

Allam rimase impegnato nel ruolo di vice di Stefano Folli e poi di Paolo Mieli sino al 2008; nei cinque anni di permanenza in via Solferino a Milano, si confermò un feroce fustigatore degli islamisti. Esercitò la professione secondo il proprio stile, mai cedendo alla tentazione di concedere qualche attenuante agli autori dei massacri religiosi. L'Ordine dei pennini si guardò sempre dal castigarlo. E ci saremmo stupiti dell'opposto. Magdi a un dato momento abbandonò lo scranno di vicedirettore, lasciò cioè il giornalismo per dedicarsi prevalentemente alla politica. Una scelta di campo che non gli impedì tuttavia di continuare a scrivere periodicamente editoriali (coerenti con la sua visione del problema musulmano), ma non più per i quotidiani ai quali aveva prestato opera, bensì per Il Giornale . Ecco l'errore.

La persecuzione che gli tocca sopportare ora, su iniziativa dell'orrenda corporazione, non è dovuta a ciò che egli mette nero su bianco, ma alla connotazione politica del quotidiano a cui la sua produzione pubblicistica è destinata: Il Giornale , appunto, notoriamente di proprietà della famiglia Berlusconi, pertanto considerato farina del diavolo, anzi, carta da bruciare allo scopo di arrostire i servi di Arcore ovvero tutti noi. Oddio, anche coloro che pubblicano libri con Mondadori sono egualmente servi di Arcore, poiché la casa editrice è pure dell'ex Cavaliere, ma attenzione: essendo essi in prevalenza compagni non sono disprezzati né inseriti nell'organico della servitù. C'est la vie.

In sintesi, il povero Allam non viene quindi perseguito per le cose giuste e sacrosante che ha sempre dichiarato sul Manifesto , sulla Repubblica e sul Corriere , ma perché le scrive sul Giornale . Non è un sospetto: è una deduzione. D'altronde anche il direttore Alessandro Sallusti è nel mirino dell'Ordine (che ha tanti difetti ma non di mira) ed io stesso mi sono beccato vari pallettoni nelle terga: un paio di radiazioni evitate per un pelo, e tre mesi di sospensione che non sono stati sei per pura fortuna. Questa è la realtà. Comunque, mi pare che con Magdi si stia esagerando. La misura è colma. Qualcuno, mi auguro, provvederà a porre fine allo scempio.

Matteo Renzi, se ci sei e non ci fai, batti un colpo.

 

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