Cronache

"Io mi curerei in Africa" I suoi medici rischiano e Strada fa il gradasso

Il padre padrone di Emergency: "Se becco ebola mi faccio curare qua"

"Io mi curerei in Africa" I suoi medici rischiano e Strada fa il gradasso

«Se becco Ebola mi faccio curare qua». Promessa del chirurgo Gino Strada, fondatore, volto e padre padrone di Emergency. Promessa formulata dalla Sierra Leone durante un'intervista del 16 ottobre scorso nel corso della quale Strada tuonava contro un sistema Italia pronto a mettere mano al portafoglio per far fronte all'emergenza terrorismo, ma troppo lento nel fronteggiare l'emergenza Ebola. Ieri, poco più di un mese dopo, un medico di Emergency colpito dal contagio è arrivato all'ospedale Spallanzani di Roma. C'è arrivato a bordo di un aereo attrezzato per questo tipo di emergenze messo a disposizione dall'Aeronautica Militare italiana. Non ce ne vogliano medici, infermieri e volontari di Emergency, ma a questo punto è difficile non notare lo stridente contrasto tra la realtà dei fatti e la prosopopea di chi utilizza la loro silenziosa e professionale abnegazione per innescare infondate polemiche ideologiche. Polemiche a buon mercato contro un'Italia dove il Gino nazionale non vorrebbe neppure farsi curare. Polemiche ai danni di un'Italia colpevole - nella consueta retorica anti nazionale e antimilitarista del chirurgo Strada - di «mandare armi ai curdi», ma non di agevolare le partenze dei medici e degli infermieri pronti a curare i «poveracci» africani. Polemiche che nessun altro dirigente delle organizzazioni umanitarie italiane presenti sul fronte di Ebola si sogna di condividere. Polemiche che rischiano d'offuscare sotto la coltre dell'ideologia lo splendido lavoro fatto dagli stessi medici ed infermieri di Emergency. Polemiche che rischiano di venir interpretate come un falso ideologico quando, alla fine, è un volo dell'Aeronautica Militare - attrezzato grazie a quei fondi della Difesa visti come il fumo negli occhi dal Gino Nazionale - a riportare a casa il medico di Emergency regalandogli qualche speranza di vincere la battaglia con il virus. Polemiche che cozzano con l'evidenza d'un sistema sanitario italiano assai più preparato all'emergenza di quelli americani e spagnoli dimostratisi, alla resa dei conti, incapaci di accogliere adeguatamente i pazienti di Ebola e di prevenire l'allargamento del contagio. Guardando ad Emergency e al suo operato la più evidente tra tutte le contraddizioni è, però, un'altra. Ed è quella tra la silenziosa abnegazione e professionalità di chi lavora all'interno dell'organizzazione e l'inacidita spocchia ideologica del 66enne chirurgo ed ex militante dell'ultrasinistra milanese demandato a rappresentarla. L'abnegazione e la professionalità di medici, infermieri e volontari che - nonostante il vano strepitare di un Gino Strada prigioniero dei pregiudizi e dei luoghi comuni degli anni Settanta - continuano a rischiar la vita per combattere un morbo micidiale.

E a tenere alta non solo la bandiera di Emergency, ma anche quel tricolore italiano che il chirurgo Gino Strada non ha, probabilmente, mai amato.

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