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Concorso esterno mafioso, primi "sì" alle modifiche

Anche il capo della Procura di Palermo favorevole alla proposta Nordio. Mantovano frena: altre priorità

Concorso esterno mafioso, primi "sì" alle modifiche

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Anche la magistratura «che fa l'opposizione al governo» ha la sua opposizione interna. Che ieri si è palesata con le aperture di Maurizio De Lucia, il procuratore capo di Palermo che ha sul petto la medaglia dell'arresto di Matteo Messina Denaro grazie al preziosissimo lavoro dei Ros, sulla riforma del concorso esterno in associazione mafiosa («Si può rivedere») e sulle intercettazioni («Basta con quelle a strascico»). Le sue posizioni espresse in commissione Antimafia - arrivate mentre giornali e Procure continuano a inseguire i fantasmi della Trattativa, teorema al quale De Lucia peraltro non ha mai creduto - sono il segnale inequivocabile che dentro la magistratura c'è un fronte del dialogo che preferisce ragionare con l'esecutivo anziché alzare barriere e lanciare accuse, come peraltro conferma indirettamente anche Giuseppe Santalucia, leader Anm sempre più in difficoltà, che alla Stampa parla di «incoraggianti spunti di dialogo» da parte di Giorgia Meloni. «Non c'è alcun intento punitivo nella riforma», ricorda intanto il vicepremier Antonio Tajani.

«Lo strumento del concorso esterno non è che non si può toccare, è stato utile ma può essere oggetto di una riflessione - ammette il procuratore De Lucia - alcune condotte potrebbero essere normate con una modifica legislativa». «C'è una giurisprudenza molto consolidata, non riaprirei altri discorsi», ribadisce il sottosegretario a Palazzo Chigi Alfredo Mantovano. Un segnale che in molti leggono come una sconfessione di Carlo Nordio, anche perché sinistra e magistrati ricordano che quella fattispecie porta la firma di Giovanni Falcone. Per Angelo Bonelli (Alleanza Verdi e Sinistra) «la volontà del governo di eliminare il reato di concorso esterno in associazione mafiosa rappresenta soltanto un insulto per tutte le vittime della mafia». «Sul concorso esterno attacchi interessati e strumentali», scrive in una nota l'associazione Libera. Mentre l'ex pm siciliano Antonio Ingrioa parla di «riforma ideologica come omaggio a Berlusconi», in linea con il suo ex collega oggi senatore M5s Roberto Scarpinato.

In realtà, l'unione tra gli articoli 416 bis e 110 del Codice penale (concorso nel reato) furono certamente ispirate da Falcone nel 1987 nel tentativo di dare una figura giuridica a comportamenti come «fiancheggiamento, collusione, contiguità». Ma quella legislazione era nata come emergenziale, tanto che la parola «esterno» nel codice non c'è («Quando più persone concorrono nel medesimo reato...», recita l'articolo) ed è diventata giurisprudenza suo malgrado. Alcune condotte come il favoreggiamento o la rivelazione di segreto d'ufficio sono state stiracchiate a concorso «esterno», in spregio alla tassatività che il codice prevederebbe. Tanto vale contestare il concorso tout court a chi agevola la mafia consapevolmente.

Nel '91 anche Falcone, che ne era l'ispiratore, ne temeva l'inconsistenza: «Col nuovo Codice di procedura, non si potrà ancora a lungo continuare a punire il vecchio delitto di associazione in quanto tale, ma bisognerà orientarsi verso la ricerca della prova dei reati specifici. Con la nuova procedura, infatti, la prova deve essere formata in dibattimento. Il che rende estremamente difficile, in mancanza di concreti elementi di colpevolezza per i delitti specifici, la dimostrazione dell'appartenenza di un soggetto a un'organizzazione criminosa». Dunque, la posizione di De Lucia appare oggi la più coerente con quella di Falcone. Non è un caso se De Lucia apra anche sulla deriva delle intercettazioni a strascico: «Devono essere censurate. Non si intercetta per vedere cosa succede. È una questione deleteria, nel mio ufficio non esiste parvenza di questo istituto». Parole quasi identiche a quelle pronunciate in Parlamento da esponenti di centrodestra come il senatore Fdi Sergio Rastrelli, che ribadisce: «Lo strumento delle intercettazioni resti nella lotta alla criminalità».

L'opposizione insiste a spargere benzina sulle ferite aperte, come l'imputazione coatta del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro da parte del gip di Roma sulla visita della delegazione Pd all'anarchico Alfredo Cospito, che voleva sfruttare i dem per indebolire il 41 bis. «La procura di Roma ha detto che le carte che lui ha diffuso erano riservate, la politica dovrebbe stare un passo indietro e attendere lo svolgimento dei processi», sibila l'ex Guardasigilli Andrea Orlando, che spera ancora una volta nel soccorso rosso delle toghe per far fuori la Meloni.

La sensazione è che resterà deluso.

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