Economia

Il crac Alitalia è lo specchio di un Paese destinato al declino

Il crac Alitalia è lo specchio di un Paese destinato al declino

Non credevo che si arrivasse a questo punto ma, oggi, penso che siano davvero da rimpiangere i tempi in cui, come un sol uomo, potevamo gridare: «Non passa lo straniero!». Succedeva neppure dieci anni fa quando il governo Berlusconi si oppose decisamente all'ipotesi che l'Alitalia, la nostra compagnia area di bandiera, finisse in mani straniere, costretta a cantare la Marsigliese sotto le ali di Air France. Con il senno di poi, i fatti stanno dimostrando che mollare allora al capitale estero non avrebbe di certo risolto i problemi di Alitalia perché, dopo la parentesi comunque negativa della cordata tricolore guidata da Colaninno, anche gli arabi di Etihad stanno issando bandiera bianca. Eppure, quando gli sceicchi di Abu Dhabi sbarcarono a Fiumicino nel 2014 il governo Renzi pur di averli abdicò su tutto, compresi i consistenti tagli di personale richiesti, qualcosa come duemila dipendenti. Per il numero uno Alitalia, Luca di Montezemolo, messo alla cloche dagli arabi, sono davvero tempi brutti. Per la verità, giovedì scorso era per lui cominciato bene perché, con le accuse americane a Fca, l'ex presidente di Fiat e Ferrari aveva potuto respirare aria di rivincita nei confronti di Sergio Marchionne, colui che l'aveva estromesso dalla guida di Maranello, ma poi nel corso della giornata tutto è precipitato con i pesanti rilievi sulla compagnia aerea del ministro Carlo Calenda. Nel suo intervento, il titolare dello Sviluppo economico non ha usato mezzi termini: il gruppo è stato gestito male e, d'ora in poi, le colpe del management non dovranno più ricadere sul personale, con ulteriori riduzioni di organico. Finirà invece, come ha ribadito lo stesso Montezemolo anche dopo la presa di posizione del governo, che ci saranno altre cure dimagranti con centinaia di lavoratori in meno. Siamo dunque alle solite e l'eterna crisi dell'Alitalia è diventata la cartina di tornasole di un Paese che sta sempre più arrancando. Del resto non poteva essere diversamente perché le cifre della società parlano chiaro: qualcosa come un milione di euro al giorno di perdite, un progressivo disinteresse dell'azionista di maggioranza, una continua perdita di competitività nei confronti della concorrenza. E pensare che solo tre anni fa la compagnia era stata praticamente ripulita dai debiti mentre, secondo i programmi pomposamente annunciati, proprio nel 2017 avrebbe dovuto presentare un bilancio in attivo. A questo punto, la realtà dimostra che il vero interesse degli arabi è stato quello di prendersi un hub verso Abu Dhabi. È anche la conferma che una colonizzazione ancora più spinta del made in Italy rischia di danneggiarci ulteriormente. Oggi l'Alitalia sembra purtroppo una dead company walking, una compagnia avviata alla resa dei conti finale come certi condannati a morte a Sing-Sing. Ecco perché sarebbe illusorio e quasi masochistico affidarsi ancora una volta ad un alleato non italiano, magari, secondo indiscrezioni degli ultimi giorni, al colosso tedesco Lufthansa che sarà certamente il numero uno ma che di questi tempi non potrà neppure lui correggere la rotta sbagliata della nostra compagnia. Dobbiamo, quindi, rassegnarci: anche questa crisi è un segno del declino dell'Italia. E, quel che è peggio, ci siamo accorti della nuova emergenza quando, ormai, gli aerei erano già scappati: checché ne dicano i vertici dell'Alitalia, alla fine pagherà ancora una volta il povero contribuente.

Come se non bastassero le banche.

Commenti