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Crisi di nervi sulle spie La Link: querele pronte per chi vuole infamarci

L'ateneo furioso per le notizie sul Russiagate Renzi chiede i danni al braccio destro di Trump

Crisi di nervi sulle spie La Link: querele pronte per chi vuole infamarci

In attesa che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte vada in Parlamento a riferire sul ruolo dei nostri servizi segreti nel Russiagate (in parte si difenderà; e in parte attaccherà i suoi predecessori), a dare segnali di nervosismo è uno dei soggetti coinvolti nella vicenda: la Link Campus, l'università privata romana resa celebre un anno fa dallo sbarco nel governo gialloverde di una serie di suoi ex allievi, tutti con casacca grillina (a partire dalla titolare della Difesa, Elisabetta Trenta). E oggi tornata al centro dell'attenzione per il ruolo che nello scandalo Russiagate svolge l'enigmatico professore maltese Joseph Mfsud, a lungo docente nell'ateneo presieduto dall'ex ministro Vincenzo Scotti.

Con un comunicato, la Link fa sapere che «diffida e querela, senza se e senza ma, chiunque la infami», e polemizza con «tutte le affermazioni scorrette, le falsità, le insinuazioni e le notizie diffamatorie» circolate sui media in questi giorni. «Il nostro ufficio legale sta approntando le querele e richieste di danni del caso. Il nostro dovere è salvaguardare in tutti i modi possibili l'onore, il prestigio, ed il lavoro di centinaia di persone che studiano, si formano ed insegnano in questa Università», conclude il comunicato.

A mandare l'università romana su tutte le furie sono state le ricostruzioni che in questi giorni l'hanno indicata come un ganglio vitale della rete di relazioni impiantata da Mifsud: una rete oggettivamente imponente, ma da cui oggi l'ateneo si dichiara estraneo. Anche se l'attivismo sfrenato di Mifsud e i suoi contatti tanto in Russia che in Italia stanno venendo alla luce così nettamente da rendere difficile credere che siano sfuggiti all'università. E d'altronde uno degli esponenti di punta della Link, l'ex ministro Franco Frattini, si portava appresso Mifsud dappertutto.

Altra cosa, ovviamente, è sostenere che la Link fosse al corrente delle attività oscure che oggi vengono attribuite a Mifsud, cioè di avere agito come agente provocatore al soldo dell'intelligence americana nel 2016 per favorire Barack Obama, invischiando Donald Trump nella storia dei dossier russi contro Hilary Clinton. A parlarne esplicitamente è George Papadopoulos, all'epoca consigliere di Trump: che accusa il governo italiano dell'epoca di avere fattivamente collaborato all'operazione. E qui c'è ieri da registrare, quasi in contemporanea con il comunicato della Link, un'altra dichiarazione minacciosa: viene da Matteo Renzi, che del governo dell'epoca era premier, e in questa veste si sente ovviamente chiamato in causa per i favori che i servizi avrebbero fatto ai loro colleghi americani.

Intervistato dal Washingont Post, Renzi dice che «la serietà e il rigore di Barack Obama per quanto mi riguarda non sono in discussione», che «qualsiasi cosa pensino il procuratore generale, Giuliani o altri (che sospettano l'Italia di avere fiancheggiato la Cia, ndr) non mi preoccupa e non mi interessa». E conclude annunciando di avere chiesto un milione di dollari a George Papadopoulos, che in questo momento è il principale teste d'accusa contro i responsabili del complotto: «Non mi sembra una spy story, quanto un film comico di terza categoria - dice Renzi nell'intervista - e quando ti trovi di fronte a un film comico di terza categoria che non fa nemmeno ridire, bisogna reagire».

Grande nervosismo sotto il cielo, insomma.

Dove l'unico tranquillo sembra Conte, forse perché sa di avere dalla sua parta sia i servizi che Washington.

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