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La cupa stagione 2013 del "pollice verso". Sotterfugi e veleni come nell'antica Roma

L'espulsione di Berlusconi rimanda agli scontri epici all'ombra del Senato

La cupa stagione 2013 del "pollice verso". Sotterfugi e veleni come nell'antica Roma

L'avvocato Edward Fitzgerald parla a braccio, senza consultare appunti, e per un attimo si sente un oratore della Roma repubblicana, o perlomeno di quella stagione che va dai Gracchi alla morte di Cesare. Cicerone sosteneva che la politica è arte della mediazione, neppure lui però è stato troppo fedele a questa filosofia. Ci sono tempi e luoghi in cui quello che ti sta di fronte non è un avversario da battere, ma qualcuno da cancellare, seppellire e condannare alla damnatio memoriae. Questo accade quando la disfida per il potere non riconosce la legittimità dell'altro a stare su quel palcoscenico. Non sei degno, sei un intruso, sei un perturbatore o rompi gli equilibri consolidati. A quel punto se non basta il voto per scacciarti dalla vita pubblica allora ogni arma diventa lecita e se non è la morta allora tocca alla giustizia. Pollice in alto o pollice verso. Vale per i gladiatori nell'arena e per i politici in Senato. È qui che l'avvocato Edward Fitzgerald, che ha lo studio a Londra e come palcoscenico per un giorno la Corte di Strasburgo, arringa: «Berlusconi è stato privato del suo seggio con un voto in un Senato composto a maggioranza da suoi avversari politici. Non era giustizia ma un anfiteatro romano in cui una maggioranza di pollice versi o pollici in alto decidono se uno va su o giù».

Era il 27 novembre 2013. Gli avversari di Berlusconi sentono che finalmente si possono chiudere i conti con un uomo che da vent'anni tiene la scena e la caratterizza: pro e contro di lui. Pietro Grasso non concede il voto segreto. Si appella alla decisione della giunta delle elezioni e delle immunità, guidata da Dario Stefàno, che poi in un libro si racconterà come l'architetto dell'espulsione. Per cacciare Berlusconi bisogna applicare la legge Severino, che prevede la decadenza per chi a subito condanne penali superiori ai due anni. Solo che bisogna renderla retroattiva. È su questo in sintesi che i senatori devono votare. La realtà è che il sì e il no hanno poco a che fare con le ragioni del diritto e molto di più con il regolamento di conti con il nemico politico. Ed è appunto cosa antica. La Roma dei petitores, in tunica candida, e dei sodales che procacciavano voti è sfregiata dalle lotte sanguinarie tra populares e optimates, quelli che Sallustio individua come i due grandi partiti che stanno lacerando la repubblica. Non due blocchi monolitici, perché poi sono frammentati e in lotta anche al loro interno. È la lotta di dittature tra Mario e Silla, l'uomo nuovo sostenuto dalla plebe e l'aristocratico debosciato. È lo scontro tra populisti che divide Clodio e Milone, ognuno con le sue milizie armate. È Cesare, populares per scelta e aristocratico per nascita, che per non finire in tribunale, sotto l'indice moralista e ideologico di Catone, sceglie di varcare il Rubicone e scommettere sulla guerra civile. «Il dado è tratto» significa che se messo con le spalle al muro un uomo preferisce sfidare la sorte piuttosto che subire la condanna e l'esilio per vendetta politica. È l'ambizione di Cicerone che forse s'inventa una congiura che ha come protagonista il più spregiudicato leader populares: Lucio Sergio Catilina. Cicerone aveva bisogno di un nemico per santificare e immortalare il suo consolato. Catilina era il personaggio perfetto. C'era davvero la congiura? Forse sì, forse no. Di certo Cicerone ci mise del suo nel renderla più pericolosa di quanto fosse in realtà e tra le sue prove non mancavano false notizie. Anni dopo pagò dazio e fu esiliato per le con danne a morte contro i partigiani di Catilina, ma anche quella fu una resa dei conti politica. Il moderato Cicerone scoprì di avere nemici peggiori di Catilina, una generazione che non aveva alcun rispetto per la sua oratoria. Ecco cosa scriveva al suo amico e editore Attico. «Questi nuovi popolari hanno insegnato a schiamazzare anche alla gente per bene.

La banda dei clodiani, non appena qualcuno si alza, inscena una gazzarra tale che lo interrompono continuamente con grida e insulti».

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