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De Magistris da pm sapeva di spiare 6 deputati

De Magistris da pm sapeva di spiare 6 deputati

RomaEra consapevole, eccome, Luigi De Magistris di violare la legge quando, ancora magistrato, nell'inchiesta Why Not , acquisiva il traffico telefonico dei parlamentari senza chiedere la necessaria autorizzazione al Parlamento. Il suo obiettivo non era affatto quello di investigare ma soltanto di accedere illegalmente ai dati di traffico dei parlamentari coinvolti nell'indagine infischiandosene di divieti e guarentigie costituzionali.

I giudici del Tribunale di Roma che lo scorso 24 settembre hanno condannato per abuso d'ufficio a un anno e tre mesi il sindaco di Napoli (che ora, essendo stato sospeso, riunisce la giunta in osteria) e il suo consulente informatico Gioacchino Genchi sono durissimi nel motivare la sentenza. Nelle 97 pagine del documento ripercorrono la storia del processo, ricordando le modalità con cui l'allora pm d'assalto aveva disposto illegalmente l'acquisizione dei tabulati telefonici di Romano Prodi, Francesco Rutelli, Domenico Minniti, Antonio Gentile, Giancarlo Pittelli e Clemente Mastella. E fa sorridere leggere nelle motivazioni della condanna uno stralcio della testimonianza resa da De Magistris nel maggio scorso, in cui l'ex pm si difendeva spiegando di non essere mica un ignaro studente di giurisprudenza: «Sapevamo che se emergeva il nome di un parlamentare non si poteva acquisire il tabulato.... penso che dovrebbe essere proprio radiato ad horas dalla magistratura un pubblico ministero che si mette ad acquisire, sapendolo, un'utenza di un parlamentare». Eppure per il Tribunale è proprio quello che De Magistris avrebbe fatto: quando ha chiesto i tabulati sapeva perfettamente che erano riconducibili a parlamentari. Lo scopo era proprio quello di «utilizzare le comunicazioni documentate dai tabulati per “incrociarne” le risultanze e collegare le inferenze di traffico con informazioni bancarie e localizzazioni sì da tracciare contatti, relazioni, movimentazioni degli onorevoli». Linfa per l'infinito archivio di Genchi e per le inchieste di De Magistris che se ne nutrivano.

Per i giudici il processo ha smentito che «l'indagine Why Not abbia riguardato solo di rimando i parlamentari coinvolti, a dimostrazione che il fine principale perseguito non fosse la ricerca della prova, bensì l'uso strumentale delle tecniche d'indagine telefonica in danno dei parlamentari» e l'inserimento dei dati nel cosiddetto «archivio Genchi». A dimostrazione che i due fossero d'accordo i giudici ricordano il monito che il pm rivolse al suo consulente, sollecitato a non arrestarsi di fronte a implicazioni di sorta. Il Tribunale ha ricostruito anche il modus operandi di De Magistris, quello cioè «di procedere senza rispettare le garanzie per le cariche parlamentari e di giustificare ex post le violazioni che fossero emerse facendole passare per un “error in procedendo” così eclatante da denotare la buona fede e comunque tale da poter essere sanato con una ratifica successiva, rinviabile a oltranza». Per l'avvocato di parte civile Nicola Madia, difensore di Mastella e Rutelli, le motivazioni consentono di squarciare il velo calato sulla verità a causa della diffusione di una serie di gravi inesattezze commesse da chi si è fatto portavoce della sola versione degli imputati senza prestare attenzione a quella delle vittime degli abusi contestati a coloro che per la funzione ricoperta dovevano garantire il rispetto delle regole del procedimento penale». Neanche le motivazioni scalfiscono le certezze di De Magistris: «Si tratta di una sentenza ingiusta, intrisa di violazioni di legge - dice - Questo non è un errore giudiziario, è molto di più.

È un teorema».

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