Interni

Il contadino Tonino in trincea con i trattori

Vedere una pagina intera della "Stampa" dedicata al contadino che era e che resta, col titolo "Sto con i trattori, governo impotente, è tutta colpa dell'Ue", beh, è qualcosa che ci riconcilia col mondo

Il contadino Tonino in trincea con i trattori

Ascolta ora: "Il contadino Tonino in trincea con i trattori"

Il contadino Tonino in trincea con i trattori

00:00 / 00:00
100 %

A noi vecchi cultori di Antonio Di Pietro (nel bene e soprattutto nel male) vedere una pagina intera della «Stampa» dedicata al contadino che era e che resta, col titolo «Sto con i trattori, governo impotente, è tutta colpa dell'Ue», beh, è qualcosa che ci riconcilia col mondo, che ci restituisce armonia. Persino quella «colpa dell'Ue» la associamo al vecchio e Dipietresco «Ueh!» («Aho» in romanesco) che fa tornare ogni cosa al suo posto e ci fa leggere con interesse persino della triste crisi degli agricoltori, e imparare, dunque, che «tra Molise e Germania ci sono differenze», che anche nella molisana Montenero di Bisaccia, dove Di Pietro ereditò dal padre la vecchia masseria, «Produrre un litro d'olio mi costa 12 euro», «solo le latte mi costano 50 euro l'una», «ieri è venuto un vicino a portarmi due balle di fieno per le oche», «io con un ettaro di terra faccio 25 quintali di grano l'anno», insomma, piace rassicurarci e capire che l'ossessione dell'uomo, il problema di sempre.

E questo ci amareggia. Si descrive un Tonino Di Pietro che alle 3 del pomeriggio ha appena finito di occuparsi dei pulcini, perché «spero per Pasqua di avere i polli, sa, ci vogliono almeno otto mesi». Perché la cruda realtà è fatta di «famiglie che devono campare con 15-20 ettari... impossibile». Ecco perché la protesta dei trattori è sacrosanta e perdipiù appena all'inizio, «crescerà, si fidi». Di Pietro è una persona di cui notoriamente fidarsi, anche se ora è un 74enne intristito: «Vedo l'amarezza di chi deve trovarsi un secondo lavoro», dice lui che avrebbe dovuto fare il contadino come primo: il suo destino era quello. E da bambino fu instradato al mestiere com'era naturale: il suo primo incarico fu quello di guardiano di galline, con gli anni passerà a pecore e maiali, le mucche invece lo intimorivano, ma comunque, già una quindicina d'anni fa, se ne vantava: diceva che sapeva arare, seminare, guidare i buoi, potare e concimare. Mestieri duri per vite dure: il bagno, alla masseria dove Tonino crebbe, in località Capo la Serra, lo costruirono solo nel 1987 dopo la morte di papà Giuseppino, travolto da cinque balle di fieno mentre scaricava un trattore, proprio un trattore come quello rosso su cui Di Pietro si fa fotografare. Suo padre a 83 anni suonati lavorava come sempre e aveva già disposto che a Concettina andasse la casa in paese, a Pierina qualche podere, e a Tonino la masseria. Sì, perché la famiglia era composta così: i nonni Giovannino e Teresina, i genitori Giuseppino e Annina, le sorelle Concettina, Pierina e Angiolina, la nipote Giuseppina (figlia della sorella Concettina) più gli zii Michelino, Pasqualino e Armandino. Il soprannome «Tonino», alla nascita, fu un ossequio alla tradizione di una famiglia minus.

Poi la ruota gira e Di Pietro è tornato là dove era partito, anche se, ora, «la terra non dà più vivere», anche se «ho una buona pensione... io non devo campare, mi diverto». Ma è finito il periodo delle vacche grasse, direbbe lui: e poco importa che il Molise, a proposito di pensioni, abbia il rapporto più alto di quelle d'invalidità, e Montenero abbia una percentuale di invalidi tra le più alte d'Italia. Poco importa che, dal 2009, un maxi condono edilizio ha trasformato in abitabili anche le stalle e capanni agricoli grazie all'inciucio del tra Pdl e Italia dei Valori, con dominum l'allora presidente Michele Iorio e naturalmente Antonio Di Pietro, anche grazie a un capogruppo regionale già sodale di Di Pietro nonché ras di Vanafro, centro appiccicato alla Campania dove il tasso di abusivismo fa sembrare Alto Adige anche la Calabria.

Fortuna che Tonino ha «una buona pensione». Vero. Molti ancor oggi si chiedono perché il 6 dicembre 1994 si dimise dalla Magistratura: e fu per molte ragioni, ma una è che aveva atteso il 28 novembre precedente perché scattasse (automaticamente) la sua nomina a magistrato d'Appello: lo scatto di anzianità infatti gli permise di potersi dimettere con una soglia di pensione minima più alta, che poi decorse dal 6 maggio successivo. Prese la pensione, un «buona pensione», dopo aver lavorato circa un anno da poliziotto e 13 anni scarsi da magistrato.

Oggi è sul trattore, e incolpa l'Europa.

Commenti