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La dissidente in Parlamento fa litigare Roma e Teheran

Rajavi a un evento della Camera, l'Iran convoca l'ambasciatore. Tajani: "Siamo una democrazia"

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Un incontro tra alcuni deputati italiani e la leader dei Mojaheddin del Popolo iraniano, gruppo di esuli che si oppone al regime di Teheran, irrita l'Iran fino a spingerlo a convocare il nostro ambasciatore nella Repubblica islamica, Giuseppe Perrone, al ministero degli Esteri della capitale iraniana. Poco importa che a invitare Maryam Rajavi e a organizzare l'evento, che si è tenuto mercoledì nella sala del Parlamento in forma di audizione informale, seguito da un convegno nella Sala della Regina di Montecitorio, sia stata la Fondazione Luigi Einaudi. Il giorno dopo, giovedì, l'ambasciatore Perrone ha dovuto ascoltare le proteste del direttore generale per l'Europa occidentale del ministero degli Esteri dell'Iran, Majid Nili Ahmadabadi, che ha chiesto all'Italia di rispettare i suoi obblighi internazionali nella «lotta contro il terrorismo» e di considerare l'incontro «un chiaro esempio di promozione del terrorismo». Per Teheran, infatti, i Mojaheddin del Popolo (Mko) sono un gruppo terroristico. E tale sono stati considerati dal 1997 al 2012 anche dagli Stati Uniti, a causa di omicidi mirati e un attentato a inizio anni '80, inseriti nella black list da Washington nel '97, dopo essere stati ospitati, finanziati e armati dall'arcinemico di Teheran, Saddam, per poi essere cancellati dalla lista nera americana undici anni fa, in nome dell'impegno per la democrazia in Iran. Per questo il regime di Teheran avverte: «Ospitare una criminale terrorista significa incoraggiare e promuovere il terrorismo - ha detto il rappresentante iraniano all'ambasciatore Perrone - La Repubblica islamica non tollererà mosse di questo tipo da parte di nessuno ed esprime una seria condanna».

L'episodio non favorisce i canali di comunicazione con l'Iran, teocrazia violenta e repressiva con cui l'Italia tiene un canale aperto, consapevole che si tratti di uno degli Stati «canaglia» con cui, tuttavia, bisogna fare i conti per evitare rischiose escalation. E il nostro ministro degli Esteri Antonio Tajani chiarisce: «Mi pare sia stata una fondazione privata a invitare queste persone, non sono state invitate dal governo o dal ministero degli Esteri». Poi la precisazione: «Noi siamo in una democrazia e ognuno fa ciò che ritiene opportuno, senza violare il diritto internazionale o nazionale. In questo caso non c'è stata nessuna violazione». Secca anche la replica della Fondazione Einaudi: «Non parteggiamo per i Mojaheddin di Rajavi, siamo dalla parte del popolo iraniano. In Italia la libertà di opinione è un diritto costituzionale», commenta il segretario generale Andrea Cangini.

Dai droni forniti alla Russia al pericolo nucleare, fino alla repressione, la Repubblica islamica non smette di mostrare il suo volto barbaro. Dall'inizio delle proteste anti-regime nel settembre 2022, secondo Amnesty International sono stati oltre 500 i manifestanti uccisi, tra cui 71 minorenni tra gli 11 e i 17 anni, e 20mila le persone arrestate, 7 impiccate dopo essere scese in piazza e decine a rischio. Solo da inizio anno sono già state 380 le esecuzioni, oltre 50 al mese, e la settimana scorsa sono ricominciate le impiccagioni in pubblico. Ne rischia una, «imminente», dopo 7 anni nel braccio della morte, lo scienziato Ahmadreza Djalali, che ha fatto ricerca per anni all'Università del Piemonte orientale.

Perciò il deputato di FdI Andrea Di Giuseppe, che ha incontrato in un bilaterale la Rajavi, precisa: «Riteniamo doveroso il rispetto dei diritti fondamentali: come detto dal presidente Giorgia Meloni, le repressioni con l'uso della violenza e della pena di morte per le proteste in piazza sono inaccettabili».

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