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Draghi in Aula, poi il voto di fiducia: cosa succederà mercoledì

Mercoledì il premier renderà comunicazioni prima al Senato e poi alla Camera: a seguire ci sarà il voto di fiducia. Fallito il gioco di palazzo di Pd e M5S per allontanare le urne

Draghi in Aula, poi il voto di fiducia: cosa succederà mercoledì

Mercoledì 20 luglio è una data cerchiata in rosso dallo scorso fine settimana: in quel giorno il premier Mario Draghi renderà comunicazioni alle Camere con un voto fiduciario con chiama. La Conferenza dei capigruppo della Camera tornerà a riunirsi domani pomeriggio per stabilire tempi e modalità del dibattito. Nel frattempo ha messo il turbo l'asse tra Partito democratico e Movimento 5 Stelle per far rientrare l'allarme e proseguire come se nulla fosse, per cercare di allontanare le elezioni anticipate.

Uno snodo importante riguarda la scelta relativa a dove inizierà il dibattito: il presidente del Consiglio riferirà inizialmente al Senato e poi depositerà il testo del discorso alla Camera. La decisione definitiva è stata presa in seguito al confronto tra il presidente di Montecitorio Roberto Fico e la presidente di Palazzo Madama Maria Elisabetta Alberti Casellati.

Cosa accadrà mercoledì

Si tratterà di un dibattito fiduciario a cui seguirà una votazione secondo la procedura dell'appello nominale, meglio nota come "chiama", passando davanti alla tribuna. Salvo diversi passaggi istituzionali, il programma dovrebbe essere il seguente: il premier depositerà il discorso tenuto in Senato, assisterà alla discussione in Aula e poi tornerà alla Camera per seguire il dibattito e replicare agli interventi dei deputati.

Dunque si potrà verificare se esiste una maggioranza a sostegno dell'attuale governo, dopo le dimissioni del premier che sono state congelate dal capo dello Stato Sergio Mattarella. C'è chi lo vede come un segnale positivo da parte di Draghi, un'apertura per ripensarci e restare a Palazzo Chigi. Ma il presidente del Consiglio potrebbe comunque recarsi al Quirinale e confermare il passo indietro dopo il dibattito in Parlamento.

La mossa della sinistra

Il fronte giallorosso si era azionato sul piano del luogo del dibattito: Pd e M5S, nel corso della Capigruppo, hanno chiesto che Draghi si rechi prima alla Camera. Il ragionamento è che proprio a Montecitorio erano emersi i primi segnali della crisi in seguito alla decisione dei grillini di non partecipare alla votazionale finale sul decreto Aiuti.

Perché si trattava di una mossa tanto voluta da Partito democratico e Movimento 5 Stelle? Il luogo della conta è importante. Infatti al Senato risiede la truppa più ribelle dei grillini, che spinge per sfilarsi e passare all'opposizione. Alla Camera invece hanno un grande peso i governisti, ovvero coloro che sono pronti a votare la fiducia all'esecutivo.

I giallorossi speravano di far partire il dibattito da Montecitorio: qui potrebbe emergere immediatamente la seconda scissione del M5S, dopo quella innescata da Luigi Di Maio. E sarebbe un segnale importante, visto che dal Pd non escludono di potersi accontentare anche del sostegno di una parte dei 5 Stelle. A quel punto la strada sarebbe in discesa: si potrebbe formare un nuovo gruppo che farebbe da stampella al governo.

Proprio per questo motivo, spiega La Repubblica, c'è stato un forte pressing. In tal modo il Movimento ne uscirebbe con le ossa rotte: Giuseppe Conte verrebbe messo alla porta e il governo potrebbe restare in vita fino al 2023 senza il sostegno di quel che resta del M5S. A quel punto l'esecutivo sarebbe appoggiato da Forza Italia, Lega, Partito democratico, Italia Viva, Insieme per il futuro e altri fuoriusciti grillini. Mentre il partito di Conte andrebbe a occupare i banchi dell'opposizione.

L'ira della Lega

In sostanza era stato chiesto di comunicare prima alla Camera e poi al Senato perché Conte è più debole a Montecitorio. Ma i capricci di Pd e M5S hanno scatenato la pronta reazione della Lega: "Siamo alla farsa. Giochini vergognosi che vanno contro la prassi che vuole che le comunicazioni del presidente del Consiglio siano fatte nella Camera di prima fiducia, o dove si è generata la crisi. Gli italiani meritano rispetto, serietà e certezze".

Una nuova scissione?

Nel Movimento 5 Stelle gli animi sono infuocati. Le riunioni a oltranza non hanno portato ad alcuna decisione netta, con l'avvocato Conte che si è limitato a rimandare la palla tra le mani del premier Draghi.

All'orizzonte potrebbe esserci una nuova fuga dal M5S: i governisti, in dissenso dalla linea Conte, potrebbero abbandonare il Movimento e approdare in un nuovo gruppo per garantire stabilità a Mario Draghi.

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