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E SuperMario non chiude: "Chiedete a mia moglie..."

Il presidente Bce lascia Francoforte: «Mai gettato la spugna. La recessione resta il principale rischio»

E SuperMario non chiude: "Chiedete a mia moglie..."

In cauda venenum? Con Mario Draghi non funziona. Nessuna vendetta da consumare, né parole velenose contro i falchi in rivolta: nell'ultima conferenza da presidente della Bce c'è solo spazio per l'analisi preoccupata sulla congiuntura, per la difesa delle politiche monetarie e perfino per qualche sguardo all'indietro «senza rimpianti», per quegli otto anni turbolenti volati via in fretta che racchiudono un'esperienza «molto profonda, affascinante» anche se «è ancora presto per dire cosa mi lascerà».

C'è da metabolizzare quasi un decennio, e riflettere lontano dai riflettori. Scollinati i 70 anni da tempo, resta ancora tutto un futuro da scrivere. Magari traslocando dal grattacielo un po' algido dell'Eurotower alla nobiltà decaduta di Palazzo Chigi, per poi fare di nuovo le valigie e salire al Colle nel 2022. Lui, ovvio, prova a dribblare le ipotesi concedendosi una battuta: «Chiedete a mia moglie. Spero che almeno lei lo sappia», è la risposta ai giornalisti. Poi, però, aggiunge: «Un futuro in politica? Non so». Che ha una sfumatura del tutto diversa rispetto al «No comment» opposto a chi gli chiedeva delle critiche che piovono dalla Germania; è, invece, quasi uno spiraglio a tentazioni di premierato, a mettere le mani in quel magma incandescente che è la politica italiana. Se qualcuno ha sentenziato che governare gli italiani «non è impossibile, è inutile», Draghi è probabilmente di un'altra idea. «Mai gettare la spugna», dice a un certo punto. Insomma, bisogna sempre provarci.

Le sfide, del resto, piacciono a Super Mario. Lui è convinto di averle vinte, di aver portato a termine la sua missione. E con quanto successo dal 2011 in poi, non era facile. Ha salvato l'euro: basterebbe già questo per un «no regrets». Anche perché «non puoi cambiare la storia». Eppure, lui l'ha fatto. Con una stella polare a guidarlo sempre: «Se c'è una cosa di cui sono orgoglioso è aver sempre perseguito il mandato». Nonostante all'interno del board qualcuno - a cominciare dal capo della Bundesbank, Jens Weidmann - sostenga che il banchiere italiano abbia sistematicamente travalicato i confini imposti dallo statuto. Di sicuro, l'ultima zampata con cui Draghi ha resuscitato quello che i critici hanno già ribattezzato QEternity (al via da novembre con acquisti mensili da 20 miliardi di euro) e sforbiciato ancora i tassi sui depositi presso la Bce, ha scavato un fossato fra l'ala che ha in uggia le politiche di allentamento quantitativo e chi vede ancora come necessaria la stampella monetaria per sorreggere Eurolandia. «Purtroppo - spiega l'ex governatore di Bankitalia - tutto ciò che è accaduto da settembre ha mostrato abbondantemente che la nostra determinazione ad agire in modo sollecito era giustificata». Draghi sente nell'aria «il rischio di una recessione», forse globale, forse dell'eurozona. La Germania, sempre meno locomotiva e sempre più gambero, può mettere in ginocchio tutti, a cominciare dall'Italia. Occorre reagire, non isolandosi. Dopo l'ennesimo invito a Berlino «a intervenire tempestivamente» in virtù del suo ampio spazio fiscale, Draghi pare rivolgersi al Donald Trump che alza muri quando sottolinea come la cooperazione fra le banche centrali e forum come il G20 siano «più importanti che mai».

Finisce la conferenza, finisce l'era Draghi alla Bce. Adesso tocca a Christine Lagarde raccogliere un'eredità pesante. «Non ha bisogno di consigli - conclude Super Mario - e ha molto tempo per formare una sua propria opinione».

Che, poi, è proprio un consiglio a non schierarsi troppo in fretta.

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