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Ecco perché Di Maio e Bonafede hanno fatto i conti senza l'oste

I rimpatri in meno di quattro mesi sono impossibili Non ci sono accordi. E dove ci sono non funzionano

Ecco perché Di Maio e Bonafede hanno fatto i conti senza l'oste

A sentir Luigi di Maio è una svolta epocale. A ben guardare il decreto interministeriale sui rimpatri annunciato dal Ministro degli Esteri è, invece, l'ennesima boutade di un governo abituato a spacciar per fatti delle irrealizzabili promesse. A dimostrarlo c'è il precedente del Ministro dell'Interno Luciana Lamorgese sbrigativamente incauta nell'annunciare, dopo il vertice di Malta, un'intesa sulla redistribuzione che ora ammette esser una semplice «dichiarazione di intenti».

La norma sui rimpatri messa a punto da Di Maio, dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e dalla stessa Lamorgese non è diversa. Per metterla a punto il trio ministeriale si è limitato a copiare l'elenco di tredici governi con cui abbiamo già accordi di rientro bilaterali o europei aggiungendoci la pretesa di non esaminare più le richieste di protezione internazionale avanzata dai loro cittadini. Forte di questo giochino banale quanto improbabile Di Maio promette ora rimpatri in meno di quattro mesi. Bello, ma anche assolutamente impossibile. La prima a saperlo è Luciana Lamorgese ben attenta stavolta a dosare l'entusiasmo e a far capire che non esiste una «bacchetta magica». Basterebbe, infatti, che dei tunisini o degli algerini dichiarino di rischiare la pena capitale per rendere inammissibile, in base alla Convenzione di Ginevra e alle leggi europee, la pretesa di rispedirli a casa senza esaminare un'eventuale richiesta di protezione. Ma non solo. Uno dei requisiti indispensabili per far funzionare gli accordi di rimpatrio è la disponibilità del paese d'origine a riconoscere la cittadinanza e quindi l'identificazione di quanti vanno mandati a casa. Ma se il migrante in questione non si trova all'interno di un Cpr (Centro di permanenza per il rimpatrio) e non può quindi ricevere la visita di un funzionario della sua ambasciata l'identificazione può venir rifiutata. E così il provvedimento d'espulsione diventa, in base alla direttiva Rimpatri Ue del 2010, un semplice quanto inutile pezzo di carta.

Dunque il primo requisito per far funzionare il decreto inter ministeriale sono delle intese o degli accordi diplomatici con i 13 governi citati nel decreto. Peccato che di questi accordi non vi sia traccia. Il trio Di Maio, Bonafede Lamorgese anche stavolta sembra aver fatto i conti senza l'oste. Ma conti in questi casi sono l'essenza della questione. Per capirlo basta la complessità dei rimpatri verso la Tunisia, uno dei soli tre paesi assieme a Marocco, Nigeria ed Egitto con cui abbiamo già effettivi accordi bilaterale di rimpatrio. Su 7896 migranti sbarcati sulle nostre coste quest'anno ben 2232, ovvero il 28 per cento del totale arrivano da lì. Ma rimpatriarli richiederebbe non quattro mesi bensì più di un anno. L'ultima intesa stretta dal ministro Angelino Alfano nel febbraio 2017 concede a Tunisi di accettare un solo charter a settimana con a bordo un massimo di 40 espulsi ciascuno dei quali accompagnato da un minimo di due poliziotti. In questo modo un rimpatrio può costare dai 3.500 a 5mila euro a migrante. Quindi solo per il rimpatrio dei tunisini arrivati quest'anno dovremmo esser pronti a metter sul tavolo un minimo di 8 milioni di euro. Non a caso Di Maio ha specificato di aver previsto una spesa di 50 milioni.

Ma anche quei soldi come gli accordi con le nazioni d'origine restano un'incognita che in tempi di finanziaria Di Maio si guarda bene dal dire come e da dove tirerà fuori.

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