Politica

Estate al freddo ma a lavorare sono solo i cinesi

Non è tanto la crisi che ci ammazza, ma il benessere e la pigrizia che esso ha indotto

Meteorologia, economia e astrologia non solo fanno rima: fanno anche ridere, perché non ne azzeccano una. E non ho citato la demoscopia - la scienza dei sondaggi - per pietà: tutti ne ricordano le gaffe nelle ultime tornate elettorali. Ferragosto inzuppato, ferragosto sfortunato. Non c'è località di villeggiatura che non sia stata funestata dal maltempo, e continua a piovere sul bagnato. Il turismo italico, che già galleggiava a stento per propria incapacità a reggere la concorrenza di altri Paesi, ha rischiato di affondare.

Ai temporali, recentemente si sono aggiunte le bombe d'acqua: una novità distruttiva. Qualche anno fa sui giornaloni si leggevano in questa stagione editoriali di presunti esperti che mettevano in guardia contro la minaccia della siccità. Giovanni Sartori, sul Corriere delle Sera , si esercitava in catastrofiche previsioni sulle sorti del pianeta: moriremo tutti disidratati, diceva dall'alto della sua saggezza. Un ottimista, al confronto di Fulco Pratesi, altra firma specializzata in calamità prossime venture, che scrisse un memorabile articolo sulla prima pagina dello stesso quotidiano, per insegnare a noi tapini come ritardare la sciagura - comunque inevitabile - della desertificazione. Raccomandava ai lettori di seguire i suoi consigli: bandire la doccia, quantomeno limitarla a un giorno sì e un giorno no; azionare raramente lo sciacquone del cesso; non cambiarsi le mutande ogni mattina, tanto chi le vede?

Stando alla pubblicistica chic, il caldo estivo non era normale, bensì annunciava l'arrivo di un'era caratterizzata da aridità e arsura. Moriremo di sete, gridavano i menagramo. Sbagliato, al massimo moriremo di fame o per affogamento. Se c'è una cosa che abbonda dalle nostre parti è l'acqua, che dal cielo scende a secchiate sulle nostre teste e non ci concede requie. Abbiamo trascorso la primavera e l'estate con i piedi nelle pozzanghere. L'unico settore che ne ha tratto vantaggio è stato quello degli ombrelli. Per il resto è una tragedia. Anche l'economia è fradicia: basta guardare i dati forniti dall'Istat, da cui si evince amaramente che la crescita è un'illusione, mentre il calo è una realtà. Matteo Renzi cerca a modo suo - a parole - di minimizzare la portata delle statistiche negative dicendo che il Pil è un valore astratto del quale bisogna fregarsene.

Dello spread non si parla più, dimenticato. Era importante quando si trattava di silurare Silvio Berlusconi, ora conta quanto il due di picche quando la briscola è a bastoni. Perfino la spending review è tramontata al pari della moda del loden: roba vecchia, superata come Mario Monti, caduto in un baleno dalla grazia alla disgrazia lasciandosi alle spalle un cumulo di rovine. Povero professore. Accolto quale uomo della provvidenza che liberava i connazionali dalla dittatura del Cavaliere, venne cacciato da un altro liberatore, Enrico Letta, anch'egli poi sostituito da un terzo liberatore, Matteo Renzi, eccellente imbonitore. Se tiriamo le somme ci accorgiamo che i rapidi avvicendamenti a Palazzo Chigi, lungi dall'aver giovato alla patria, l'hanno affossata.

In meno di un triennio il bilancio è peggiorato parecchio. Si è registrato un solo aumento considerevole: quello della miseria. Abbiamo globalizzato i pidocchi e varie malattie infettive, non le merci, che giacciono invendute. Ci consoliamo constatando che anche la Germania arranca. Sai che soddisfazione. Economisti, politologi, sociologi e altri «ologi» si affannano nella ricerca della causa della crisi e nel proporre adeguate terapie. I loro sforzi sono vani. Serve piuttosto osservare il panorama squallido che ci circonda.

Esperienza personale. Ieri, 16 agosto, esco di casa, percorro in città chilometri e chilometri; una fila interminabile di saracinesche abbassate. Eppure è sabato, giorno feriale. A dire il vero, su cento negozi chiusi, uno è aperto. Chi sono queste mosche bianche che lavorano? Verifico. Sono cinesi. Hanno rilevato bar e tabaccherie. Lavorano da mane a notte. Anche i parrucchieri da uomo e da donna sono orientali iperattivi. I piccoli supermercati a orario continuato sono pure gestiti da questa gente instancabile. Che sta accadendo in Italia? Compulso le statistiche e scopro che l'occupazione tra gli stranieri è salita in pochi mesi del 4 per cento, mentre quella dei compatrioti è precipitata. La disoccupazione generale naviga intorno al 12 per cento. Un contrasto illuminante.

I commercianti e gli imprenditori extracomunitari si danno da fare e incrementano i loro affari. I nostri sono costretti a vendere baracca e burattini, non resistono. Perché? D'accordo, il fisco uccide. Ma c'è altro. I cinesi e affini sgobbano 15 ore al dì per dodici mesi e si accontentano di 12 mensilità. I signorini del Belpaese, tra ferie, permessi e assenze più o meno giustificate, sono impegnati 10 mesi l'anno, percepiscono 14 mensilità e, terminate 8 ore quotidiane, badano ai casi propri.

Ecco perché perdiamo. Non c'è partita tra chi ha fame e suda senza fiatare e chi, avvezzo al benessere e tutelato dai sindacati e da una normativa folle, non accetta di sostenere sacrifici. Non è tanto la crisi che ci ammazza, ma il benessere e la pigrizia che esso ha indotto.

La strada della ripresa è in salita, come negli anni Cinquanta e Sessanta quando anche tutti noi eravamo cinesi e non (piccoli) borghesi.

 

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