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"In Etruria unico a dire no ai bonus Conti in rosso, papà Boschi sapeva"

L'ex membro del Cda della banca fallita: "Nel 2014 i manager in uscita furono strapagati perché serviva a creare un precedente per gli altri. Il bail-in? La retroattività è una truff"

"In Etruria unico a dire no ai bonus Conti in rosso, papà Boschi sapeva"

«La mia coscienza e sensibilità mi dicevano che quella cifra era eccessiva, ingiusta rispetto alla situazione della banca e agli ultimi bilanci. Ma non voglio dire di essermi comportato meglio degli altri consiglieri». Non lo dice ma lo pensa Giovanni Grazzini, commercialista di Arezzo ex componente del cda di Banca Etruria in rappresentanza dei dipendenti della banca, e che oggi, grazie al quel voto unanime (tranne il suo) per concedere uno scivolo di 1,2 milioni al direttore generale Bronchi, si è beccato al pari degli altri una multa da Bankitalia (52mila euro, «ma farò ricorso»), con un'indagine per bancarotta fraudolenta appena aperta dalla Procura aretina proprio a partire da quella delibera del giugno 2014.

Grazzini, lei astenuto, tutti gli altri, compreso Pier Luigi Boschi, favorevoli a staccare un assegno milionario mentre la banca colava a picco.

«C'è stata una discussione, una lunga istruttoria perché Bronchi chiedeva una cifra ancora più elevata, che tenesse in conto non solo la retribuzione ma anche i benefit di cui godeva. Il consiglio aveva l'urgenza di chiudere velocemente la pratica».

Anche strapagando uno dei manager responsabili del buco nei conti. Ma perché questa fretta?

«Dopo l'uscita di scena del presidente Fornasari (per lui i pm hanno chiesto il rinvio a giudizio per ostacolo alla vigilanza, ndr) c'erano forti pressioni sui vertici di Banca Etruria per dare un altro segnale di discontinuità. Quindi il dg doveva lasciare, e anche con una certa urgenza».

Liquidarlo per far credere che Banca Etruria stava cambiando. Nel verbale di quella seduta, ora all'attenzione della Procura, come si giustificano gli altri membri del Cda?

«Non hanno messo niente a verbale, si sono limitati al voto».

Anche Boschi?

«Ha approfondito la questione e poi non si è opposto al via libera. Io invece ho sollevato dei dubbi, ho chiesto se era stato tenuto conto della situazione della banca, dei risultati non certo positivi degli ultimi mesi, mi è stato risposto di sì. Ho anche avvertito che così facendo si poteva creare un pericoloso precedente».

Nel senso che anche gli altri manager della banca avrebbero chiesto lo stesso.

«In quel momento era prevista una ristrutturazione dei quadri dirigenti della banca, bisognava rivedere l'organigramma. E quindi concedere un trattamento più generoso del dovuto ad un manager creava le premesse perché, in una situazione analoga, un altro amministratore della banca, potesse dire: se avete dato 1,2 milioni all'ex direttore generale, allora anche a me...».

Ma che opinione si è fatto dell'allora vicepresidente Boschi?

«Le dico la verità, non so come sia maturata la sua nomina alla vicepresidenza, era già consigliere di amministrazione. Io ero un po' un outsider, rappresentavo i dipendenti, anche loro preoccupati per quel che succedeva. Tuttora sono minacciati, insultati, oggetto di denunce».

Hanno venduto azioni e obbligazioni rischiose a pensionati e casalinghe.

«Ma le avevano comprate anche loro, e adesso si ritrovano ad aver perso i soldi e a fronteggiare una denuncia penale per truffa. Riguarda moltissime persone, gli impiegati dell'ufficio titoli delle singoli filiali. Viene fuori un maxi-processo che neanche per Totò Riina.... Sa dov'è la vera truffa?»

Dica.

«Nella retroattività del bail-in, previsto dal decreto Salva Banche. Chi ha sottoscritto azioni e obbligazioni in passato non poteva sapere che avrebbe perso tutto in caso di bail-in, visto che la legge ancora non c'era.

La retroattività della legge, quella è la vera truffa».

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