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La Festa del Pd è finita Il declino dell'Unità tra noia e platea vuota

Quasi deserto l'evento di Milano. L'amarcord di Cofferati: "Quando eravamo migliaia..."

La Festa del Pd è finita Il declino dell'Unità tra noia e platea vuota

Tante sedie desolatamente vuote sotto un tappo d'afa. Cartoline dalla Festa dell'Unità di Milano: malinconia, caldo africano e non più di trenta persone, come certificato da Libero, compresi i giornalisti, i fotografi e i volontari con la maglia gialla. Tornano in mente le folle oceaniche del passato, quando gli happening del popolo rosso erano eventi come oggi un concerto di Vasco Rossi e nello stesso tempo esibizioni muscolari di una potenza non ancora sfibrata da mille contese, scissioni e liti fra correnti.

«Allora - ricorda al Giornale Sergio Cofferati, uno dei leader di quella sinistra oggi a sinistra del Pd - c'erano tre livelli. La festa di sezione, quella provinciale, quella nazionale che radunava centinaia di migliaia di persone. A Milano, dove ero impiegato alla Pirelli, la Festa provinciale si teneva al Parco Sempione, poi si spostò, credo per esigenze di spazio, alla Montagnetta di San Siro. Noi della sezione Libero Temolo ci occupavamo normalmente del magazzino, ma quando la Festa nazionale arrivò a Milano, credo nel '73 o '74, mi dovetti improvvisare cameriere al ristorante polacco, paese ospite quell'anno». Attenzione: parliamo della Polonia comunista, inserita nell'orbita sovietica e ancora lontana dal dover fare i conti, come sarebbe successo qualche anno dopo, con la Polonia di Solidarnosc e di Lech Walesa. «I cuochi polacchi - aggiunge Cofferati - preparavano zuppe strepitose, ma per un cameriere alle prime armi come il sottoscritto portare i piatti in tavola era un'impresa disperata».

I giovani credevano ancora nel mito della Rivoluzione d'Ottobre, assaggiavano le zuppe, ma almeno sotto la Madonnina, godevano di grande successo anche i piatti del ristorante Valtellina: dai pizzoccheri alla polenta taragna. E poi c'erano i balli, i dibattiti, la campagna abbonamenti per diffondere la stampa legata al Pci. «Oggi - racconta Cofferati - non c'è nemmeno più l'Unità ed è strano, se ci si ferma un attimo a riflettere, che si trasformi un avvenimento in una sorta di commemorazione».

Ma questo è solo un aspetto di un declino che ha molti lati. I volontari, che prima facevano la fila per dare una mano negli stand, spiattellare ai fornelli e pulire i tavoli, sono merce sempre più rara. «So - insiste l'ex numero uno della Cgil che portò tre milioni in piazza contro Berlusconi - che tutte le federazioni, a parte quelle dell'Emilia Romagna, fanno sempre più fatica a organizzare happening che vanno avanti per giorni e che hanno bisogno di preparazione e impegno».

Oggi è sparito il quotidiano insieme agli ideali di un tempo e una buona parte del popolo rosso diserta questi appuntamenti, gestiti ormai dalla nomenklatura renziana. Le cartoline milanesi sono l'immagine di questa decadenza, paradossale nel momento in cui il Pd è ancora il primo partito, o quasi, spalla a spalla col M5s, e i governi sono a trazione postcomunista. Ma fra svolte e controsvolte si è persa l'anima di quel mondo e un'altra realtà fatica a emergere. Un incontro semideserto, come è successo a Milano, ci può pure stare. Ma qualcosa può pure voler dire. Come lo strappo sul calendario e la nuova location: allo scalo Farini, vicino ai grattacieli dallo skyline scintillante, ma lontanissimo dalla vecchia metropoli operaia. E lo spaesamento arriva sul calendario: «Le feste - conclude Cofferati - si tenevano a fine agosto, primi di settembre, non a luglio, e servivano anche per fare il punto e dare la linea».

Oggi si litiga e le poltrone restano vuote.

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