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Fico ultimo reduce dei big 5s. Ora studia da governatore

L'ex presidente della Camera ritorna in prima linea con l'obiettivo di correre in Campania con i giallorossi

Fico ultimo reduce dei big 5s. Ora studia da governatore

È tornato, ma forse è l'unico dei big del M5s delle origini a non essere mai andato via. Una bordata sul reddito di cittadinanza, una tirata a Giorgia Meloni sui migranti, un complimento a Elly Schlein. E poi la fuga in avanti, un inedito per Roberto Fico, sempre attento alle parole e reduce del Movimento «né di destra né di sinistra». «Sono un uomo di sinistra, un uomo progressista», si confessa Fico a Filo diretto, su Rainews24. Ora che Giuseppe Conte rivendica l'ambizione di essere la calamita del progressismo, con i Cinque Stelle che competono a sinistra con il Pd, l'ex presidente della Camera non deve più nascondersi. Semmai è pronto a rilanciare, con l'obiettivo di strappare una deroga al principio dei due mandati e correre con i giallorossi da presidente della Campania nel 2025.

Non è più in Parlamento, eppure l'attuale congiunzione astrale sembra favorevole a Fico. Ai primordi del grillismo lui era il «comunista», Alessandro Di Battista faceva la parte del ribelle e Luigi Di Maio, con la sua grisaglia, già mostrava le stimmate del «moderato». Del trio delle meraviglie di Beppe Grillo è rimasto solo lui. Di Maio aveva scommesso sulla scissione e gli è andata male, Dibba per ora preferisce scrivere libri e confezionare reportage dalla Russia e dal confine turco-siriano. Ma c'è Fico. Che, non a caso, mantiene ancora il suo presidio a Montecitorio. Non ci pensa proprio a lasciare l'ufficio da ex presidente della Camera dei Deputati, nonostante le polemiche. Intanto interviene, dichiara. In preda a un'insolita verbosità, sbocciata all'indomani della vittoria di Schlein al congresso del Pd. «Ora bisogna comprendere la differenza tra progressista e di sinistra - spiega - io penso che il progressismo sia una forma più ampia e moderna della sinistra, che comprende anche l'ambientalismo. Oggi il M5s è riuscito a imporre un'agenda politica ambientale diversa, stiamo lavorando per una strada con i Verdi europei». Che poi sono le stesse cose che ora va dicendo pure Conte, solo che Fico è arrivato prima, molto prima. Con Di Maio capo politico e il M5s al governo con la Lega, lui ha continuato a coprire la sinistra grillina quando sembrava una corrente del tutto minoritaria tra i pentastellati. Più coerente di tanti suoi ex colleghi, più furbo di molti altri.

Di Di Maio e Di Battista abbiamo detto. Non resta che annotare l'inabissamento di Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro. Senza dimenticare di sottolineare il profilo basso di Paola Taverna, che figura ancora tra i vice di Conte, ma che rispetto a Fico pare essere completamente scomparsa dai radar. E poi Vito Crimi, Danilo Toninelli, Stefano Buffagni e Federico D'Incà. Fuori dal Parlamento, fuori dai titoli dei giornali. Fico invece colleziona interviste. «Grave l'assenza di Meloni a Cutro», ha detto una settimana fa a Repubblica. Concetto ribadito ieri a Rainews24: «È un problema che la Meloni non sia andata subito». Poi gli assist a Schlein, considerata la testa di ponte per conquistare la Campania alla guida di una coalizione tra Pd e M5s. La segretaria non concederà il terzo mandato a Vincenzo De Luca e Fico guarda al Comune di Napoli, al sindaco giallorosso Gaetano Manfredi. «Auguri a Schlein, le nostre comunità in parte devono sicuramente lavorare insieme», la riflessione dell'ex presidente della Camera. Che però dovrà fare i conti con Grillo e il suo no a eccezioni sulla regola dei due mandati.

Anche sulla riforma del reddito di cittadinanza Fico si è dato da fare con le dichiarazioni, bruciando sul tempo Conte. «Tolgono risorse ai più deboli, il governo è confuso e miope», la stoccata.

Non è che è tornato, semplicemente non se n'è mai andato.

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