Politica

FIRME FUORI DAL CORO

Matteo Sacchi

Non è mica facile decidere da che parte prenderla la lunghissima carriera giornalistica di Giorgio Torelli (Parma, classe 1928). Allora partiamo dal «mezzo», quando Indro Montanelli lo invitò a far parte della squadra de il Giornale, mentre il Giornale era ancora un'idea, ovvero nel 1972. Tutto cominciò con una lettera del futuro direttore. Torelli, un arzillo novantenne, baffo alla Guareschi e pipa sempre in mano, oggi la ricorda così: «Montanelli stava polemizzando dalle colonne del Corriere con Camilla Cederna. Io decisi di sentire, per Epoca, proprio la Cederna. Ne uscì un pezzo divertente e pungente, in cui la Cederna, che cercava di smontare tutta la polemica, con birignao della Milano bene chiamava Indro Montaneux e me Toreaux. Allora Indro mi scrisse un telegramma: Il tuo pezzo su Epoca era meglio del mio sul Corriere. Quando poi è partita l'avventura del Giornale e mi ha chiamato non ho nemmeno pensato di dire di no. A Epoca stavo bene ma per me Montanelli era il giornalismo, era come essere chiamato da Garibaldi per la spedizione dei Mille... Quando ero ragazzo una volta io e Luca Goldoni, mio compagno di liceo andammo a vedere una tappa del Giro d'Italia non per vedere Coppi ma per vedere Montanelli che faceva l'inviato».

Fu così che il laico Montanelli coinvolse il cattolico Torelli nell'impresa picaresca di un quotidiano tutto nuovo e contro corrente. Cosa spinse Montanelli? Montanelli lo raccontava così: «Sapevo che sotto il sorriso di Torelli, la sua penetrazione di osservatore, il suo talento caricaturale, c'era anche qualche altra cosa: un dolente senso morale, una religiosa concezione della vita come servizio da assolvere».

Torelli, sempre arguto e affabulatore ma di fondo schivo, invece, se vi capita di conversare con lui nel suo salotto onusto di libri e giornali, si limita a raccontare: «Indro, non voleva mai che lo chiamassimo direttore, mi disse: voglio che tu faccia una rubrica, tre volte a settimana, voglio che racconti delle cose che capitano a tutti, della vita della gente normale...».

Nacque così «Cosa Nostra», di cui nel volume Appunti di vita in allegato da domani (e per una settimana) con il nostro quotidiano (a 3,50 euro più il prezzo del giornale) potrete leggere alcune delle chicche più belle. Il nome, bizzarro, uscì dalla fantasia di Montanelli: «Nessun riferimento alla mafia... Intendeva solo che sarebbe dovuto essere una cosa intima e vicina ai lettori - chiosa Torelli avvolto in una nuvoletta di fumo che circonda la sua poltroncina rossa - quasi intima. E se c'è qualcosa che mi rende orgoglioso è il baule di lettere che conservo ancora. I lettori me ne hanno scritte più di tremila. Significa che davvero quel dialogo c'è stato e ha funzionato».

E infatti quando sfoglierete questo librino vedrete che articoli come «La professoressa» o «La deriva» non sembrano aver sofferto il logorio del tempo, anzi.

Questo perché Torelli, picchiettando sulla sua Olivetti rossa - scrive ancora con quella, aggiustandola come può con dei misteriosi strumentini - ha creato una lingua, «inventiva, piccante, casalinga e ardita assieme» (Copyright Enzo Bettiza). Ma anche perché è «Inviato» nel sangue, e si vede anche ora che anzianissimo signore ci mette un attimo a invertire le regole del gioco e a intervistare chi lo intervista: «Hai detto affermativo, non sì allora sei un ex militare... Ah alpino, vieni vieni di là che ho dei disegni di Novello». Eh sì di Novello, ma anche di Guareschi con cui Torelli ha lavorato al Candido. Torelli è una specie di summa del giornalismo che fu. Di fondo sembra essere rimasto fedele ai principi sanciti dal telegramma con cui Nino Nutrizio lo assunse a La Notte: «Ora la Notte emette fischio/ Venga Torelli senza rischio/ Firmerà contratto a Milano/ Tanto lavoro e poco grano». E poi c'è anche quel quadro stranissimo. Contiene un disegnino di quelli che faceva Montanelli durante le riunioni di redazione: «Sono inquietanti tutti questi quadrati affiancati eh? Un disegno da psicanalizzare..».

Legatissimi il cattolico Torelli e il laico Montanelli. Racconta Torelli: «Quando Montanelli si sposò con Colette Rosselli gli feci da testimone. Non sapevo cosa regalargli: erano una coppia bella, intelligente, famosa, avevano tutto... Mi era però capitato di andare a fare un servizio al monastero delle monache carmelitane di Dachau. È costruito con tutte le celle che guardano verso il campo e le monache pregano costantemente per espiazione di quella violenza inaudita. Fabbricano anche dei piccoli oggetti. Allora regalai a Indro una piccola croce di smalto fatta da loro. Ho pensato, non esiste un oggetto fatto da mani più innocenti... E Indro la portava».

E molti degli articoli di Torelli, nel volume ne troverete, solo un piccolo florilegio, sono come quella croce. Oggetti semplici, ma solo all'apparenza, in realtà frutto dell'equilibrio tra la scrittura e la vita vissuta. Un equilibrio mai facile. Soprattutto quando la vita è anche quella degli altri, che un inviato deve carpire. Ma non per furto, o gusto della prima pagina, semmai per custodirla. Torelli lo ha fatto per anni nelle più svariate parti del mondo, dalle missioni in Africa al Giappone, all'angolo di strada di casa sua (ancora oggi scrive un articolo a settimana per la Gazzetta di Parma, rigorosamente a macchina però).

Sempre con la stessa divina curiosità.

Commenti