Guerra in Israele

Flop del Cairo. Meloni vola da Bibi

La premier: "Siamo tutti bersaglio di Hamas, ma evitiamo vendette e guerre di religione"

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«È importante che oggi i leader siano qui, e io ho scelto di essere qui», dice Giorgia Meloni, uscendo dal vertice del Cairo, prima di imbarcarsi sul volo per Israele.

Il messaggio che la presidente del Consiglio lancia durante il suo intervento (e anche durante gli incontri bilaterali avuti sia con l'egiziano Al Sisi che con il presidente dell'Autorità palestinese Abu Mazen) è chiaro e drammatico: «Dobbiamo fare l'impossibile per evitare una escalation della crisi, perché le conseguenze sarebbero inimmaginabili».

Il titolo di «conferenza di pace» dato al meeting del Cairo, che ha visto intorno allo stesso tavolo attori occidentali ed arabi, è tanto ambizioso da suonare poco realistico, al momento. E infatti il vertice si conclude senza dichiarazione finale, per il rifiuto arabo di inserire la condanna di Hamas.

Al Cairo, e poi in Israele, Meloni si mostra in perfetta sintonia con la linea espressa dal presidente Usa Joe Biden: condanna assoluta dell'«efferato» attacco di Hamas, epifania di un «antisemitismo che viene molto prima della questione palestinese» e che punta alla «totale disumanizzazione del popolo ebraico» e a «costringere Israele a una reazione che la isoli, creando un solco incolmabile» con il mondo arabo. Difesa senza esitazioni del «diritto di Israele a esistere, difendersi, garantire la sicurezza», ma al tempo stesso l'ammonimento: «La reazione di uno Stato non può mai essere motivata da sentimenti di vendetta», e «la popolazione civile va tutelata». La prospettiva da offrire anche al popolo palestinese «che ha diritto a governarsi da solo in libertà», dice la presidente del Consiglio italiana, è quella rilanciata da Biden: «Lavorare a un'iniziativa politica che contempli la soluzione due popoli, due Stati, con una tempistica definita e concreta».

Nell'immediato, intanto, occorre percorrere il sentiero stretto tra due priorità umanitarie su cui tentare di far convergere la comunità internazionale e i Paesi arabi: «L'arrivo di aiuti umanitari» per la popolazione di Gaza e la «liberazione degli ostaggi» in mano ai terroristi di Hamas. Con un messaggio implicito ai governanti mediorientali: la minaccia islamista di Hamas e dei suoi sponsor è rivolta anche contro di voi. «La verità è che siamo tutti sulla stessa barca: la causa palestinese non ha nulla a che fare con gli obiettivi di Hamas, che punta ad una jihad islamica che ha per target non solo la cancellazione di Israele» ma pure «le nazioni arabe», a cominciare da quelle che hanno mostrato disponibilità ad una «normalizzazione» dei rapporti con Gerusalemme. Ed è il messaggio che la premier ribadisce anche durante il faccia a faccia con il palestinese Abu Mazen, assicurando «il sostegno dell'Italia alla legittima Autorità rappresentativa del popolo palestinese, che certamente non si identifica con Hamas». Un modo per distinguere tra macellai islamisti e causa palestinese, e per puntellare il ruolo di interlocutore necessario dell'ormai fragilissima Anp, che Hamas punta a distruggere.

A Tel Aviv, dove atterra a sera, Giorgia Meloni incontra il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente Isaac Herzog. «Il modo migliore per difendere Israele è di non consentire il suo isolamento dalle nazioni che hanno lavorato per un processo di normalizzazione, e quindi impedire che il conflitto si propaghi.

Perché proprio questo è il disegno di chi ha organizzato l'attacco di Hamas».

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