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La flotta europea anti sbarchi? Non può combattere gli scafisti

Se la missione navale arriverà davanti alle coste libiche per fare muro violerà la Convenzione sui diritti umani. E respingere i barconi sarà impossibile

La flotta europea anti sbarchi? Non può combattere gli scafisti

Quando la missione navale europea entrerà nelle acque territoriali libiche per combattere i trafficanti di uomini non potrà respingere i barconi da dove sono partiti. In pratica rischiamo di portarci in Italia, profughi e clandestini, anche se li intercettiamo ad un passo dalla costa. Grazie ad una sentenza, che ha già condannato l'Italia per i respingimenti del 2009. Lo spauracchio è stato sollevato dall'avvocato Anton Giulio Lana, presidente dell' Unione forense per la tutela dei diritti umani, che in queste settimane si sta battendo contro il «muro» anti migranti del Brennero. Ieri al quotidiano inglese Times, il legale ha dichiarato senza mezzi termini: «Se respingeranno i migranti verso la Libia sarà una violazione della Convenzione europea sui diritti umani. Non ha importanza se avverrà in acque libiche». Oltre al danno rischiamo la doppia beffa. Ci sono problemi legali pure per arrestare gli scafisti ed i trafficanti o farli detenere e processare dai libici per lo scarso rispetto dei diritti umani e legali. Per ora la missione navale europea Eunavfor med, è solo una brutta copia di Mare nostrum grazie ai 12600 profughi e clandestini salvati in mezzo al mare, anche se non faceva parte dei compiti dell'operazione. La fase 2 bravo e 3 di ingresso nelle acque territoriali libiche e vera lotta ai trafficanti sulla costa ha di fronte un macigno legale, che potrebbe trasformala in «mission impossible». «Il problema è alla nostra massima attenzione. Il passaggio alla fase successiva di operazioni nelle acque libiche presuppone un invito del governo di Tripoli, appena insediato. In questo frangente dovranno essere sviscerate tutte le ripercussioni di carattere legale. Un aspetto che va risolto a livello politico» spiega una fonte ben informata della missione navale.

In acque internazionali l'Italia, per prima, ha scelto la strada dell'assoluto «non rispingimento». Nelle acque territoriali si sperava che accadesse il contrario, come auspica Londra, ma una sentenza europea ce lo vieta. Nel 2009 ben 200 somali ed eritrei, intercettati sui barconi a 35 miglia da Lampedusa, erano stati riportati al mittente e consegnati alle autorità libiche sotto il controllo, allora, di Muammar Gheddafi. L'operazione faceva parte del famoso trattato di amicizia italo-libico firmato dal governo Berlusconi ed il colonnello. La onlus Consiglio italiano per i rifugiati aveva rintracciato in Libia 24 respinti, che erano stati trattenuti e maltrattati per diversi mesi nei centri di detenzioni libici. L'avvocato Lana ed il suo collega Andrea Saccucci avevano fatto ricorso presso la Corte europea dei diritti dell'uomo, che nel 2012 ha condannato l'Italia e stabilito un risarcimento di 15mila euro a testa per 22 «respinti». In pratica il nostro paese avrebbe violato l'articolo 3 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo: «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti». Ed ai tempi di Gheddafi la situazione per i migranti era più umana delle barbarie attuali. Non a caso Christopher Hein, portavoce del Consiglio dei rifugiati, ha dichiarato al Times che «sappiamo quale sia la terribile situazione delle carceri in Libia. Non è cambiata dal 2012».

Forse l'unica soluzione sarebbe di far riportare indietro i migranti alla guardia costiera libica, che al momento, però, non esiste come forza organizzata e spesso è in combutta con i trafficanti.

Gli ostacoli legali non riguardano solo l'impossibilità di rimandare a terra i migranti, anche se vengono intercettai a mezzo miglio dalla costa libica, ma pure scafisti e trafficanti. «Il quadro legale si complica man mano che andiamo avanti con l'operazione, perchè sia in acque territoriali, che sul territorio libico oggi non c'è uno strumento legale che ci consente di arrestare gli scafisti» ha sostenuto il 4 febbraio, davanti alle Commissioni parlamentari riunite della Difesa, l'ammiraglio Enrico Credendino.

In un rapporto riservato alla Ue, il comandante italiano della flotta europea, ha ammesso che «senza un accordo» con il governo dell'Onu, che si sta insediando fra mille difficoltà a Tripoli, «saremo costretti a rilasciare i contrabbandieri sospetti fermati in acque territoriali libiche, con la conseguente perdita di credibilità dell'operazione sui media e nell'opinione pubblica».

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