Cronache

Folla, lacrime e applausi. Il saluto di Genova che non cede al rancore: "La città saprà risorgere"

In migliaia per una cerimonia toccante e composta. Consenso per il governo e ovazione per i vigili del fuoco. Pochi fischi al Pd

Folla, lacrime e applausi. Il saluto di Genova che non cede al rancore: "La città saprà risorgere"

Dal nostro inviato a Genova

C'è una folla strabocchevole nel padiglione della Fiera dove di solito scintillano le barche, vanto del made in Italy. Questa volta il talento tricolore ha fatto cilecca, anzi ha combinato un disastro senza precedenti e ha distribuito dolore in dosi insopportabili. Ma la compostezza e la dignità, sia detto a ciglio asciutto, incantano. Ci sono diciannove bare perché gli altri hanno preferito funzioni private. Fra Pisa e Torre Del Greco. Ci sono i giocatori di Genoa e Sampdoria, mischiati come mai si era visto. Ci sono i gonfaloni delle troppe città toccate da questa sciagura collettiva, le bandiere cilene, come tre delle vittime, e sul feretro bianco di Samuele, che aveva 8 anni, andava in vacanza con mamma e papà e nelle foto faceva le linguacce, sono adagiati gli orsacchiotti di peluche: un'immagine che non si può osservare senza provare un brivido per il mistero della vita.

Dietro l'altare, dove il cardinale Angelo Bagnasco celebra la messa solenne, c'è un Cristo in croce dolente. Sfatto. Il volto irrigidito che guarda, se guarda, verso terra e descrive il clima buio di Genova. Ma l'arcivescovo, con il suo stile apparentemente freddo, trova le parole giuste: «Genova risorgerà...». E anche i genovesi sciolgono nella funzione sacra riserve di umanità davvero impensabili e danno una lezione a tutto il Paese e alla platea di mezzo mondo che si è collegata via etere con l'evento.

Lo si capisce subito, ancor prima dell'incipit della cerimonia, quando per qualche minuto fa la sua fugace apparizione anche Beppe Grillo. Era facile prevedere insulti e striscioni contro le autorità, contro lo Stato che bene o male non ha saputo proteggere i suoi cittadini, quelli che presagivano il mare e quelli che andavano a lavorare. E invece scrosciano gli applausi. Battimani sinceri per il presidente Sergio Mattarella che si sofferma fra i parenti di chi non c'è più, li accarezza, li abbraccia e racconta: «Anch'io ho percorso quel ponte tante volte, anche di recente». Applausi per il capo del Governo Giuseppe Conte e per i suoi vice Luigi Di Maio e Matteo Salvini che elegantemente si tappano la bocca e non rilasciano dichiarazioni.

Applausi per le vittime, anche per quelle che hanno scelto lo strappo e hanno portato via i loro cari. Quelle facce vengono evocate una a una dai celebranti: «Alessandro, Kristal, Gennaro, Elisa, Juan...». Nomi italiani, francesi albanesi e sudamericani che si mescolano nella Spoon River del Morandi.

E gli applausi diventano un'ovazione quando arrivano i pompieri. Ancora con le divise e i caschetti. Sono loro, insieme ai soccorritori, le vere star, anche se la parola roboante fa a pugni con l'understatement di questi servitori del Paese dal profilo basso. «Il viadotto è crollato - riassume Bagnasco - Genova però non si arrende, l'anima del suo popolo è attraversata da mille pensieri e da mille turbamenti. Ma continuerà a lottare, come altre volte. Noi genovesi sapremo trarre dal nostro cuore il meglio, sapremo spremere quanto di buono e generoso c'è in noi. E che spesso rischia di rimanere riservato, quasi nascosto, schivo». Partono altri applausi, battezzati nelle lacrime, e a quel clima di unità nazionale, miracoloso nell'Italia slabbrata di oggi, aderiscono tutti. I genovesi che hanno ritrovato per Ferragosto la città sconvolta e irriconoscibile, e le massime autorità del Paese: il presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati e quello della Camera Roberto Fico, dal look finalmente intonato; i ministri presenti a grappolo, a cominciare da Danilo Toninelli che ha dichiarato guerra ai gestori della rete, il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti e poi pure loro, i vertici di Autostrade per l'Italia, che hanno deciso di esserci, mettendo in conto la rabbia della popolazione.

Ma non succede nulla. Basta Mattarella che, in margine alla cerimonia, chiede «un accertamento rigoroso delle responsabilità». L'unica contestazione degna di nota ha per bersaglio il segretario del Pd, Maurizio Martina che arriva in compagnia dell'ex titolare della difesa, Roberta Pinotti. Fischi. «Buffone». Ma è poca cosa. Se a Napoli si è liquefatto il sangue di San Gennaro, qui, almeno per oggi, evapora l'astiosità del Paese. La cerimonia corre verso l'epilogo, le lacrime prendono il sopravvento, Bagnasco si fa sempre piu' ieratico, Mattarella e Di Maio prendono la comunione dal cardinale che benedice con l' acqua e con l' incenso le salme.

L'arcivescovo lascia spazio all'imam di Genova che prega per i due albanesi di fede musulmana. Poi abbandona quei ritornelli orientaleggianti e prende il microfono: «Genova che in arabo significa la bella', saprà rialzarsi. Le comunità islamiche pregano perche' la pace sia con tutti voi. Che il Signore protegga l'Italia e gli italiani». Quell'intervento inatteso è forse la prima pietra per ricostruire lo spirito di una città spezzata. E che però non vuole rinunciare, sotto il peso di quella catastrofe, alla sua vocazione, ai suoi traffici ai suoi commerci, alle lingue diverse che, pur fra inevitabili problemi e tensioni, costituiscono la sua cifra. Il Morandi è solo una desolazione di macerie, ma il desiderio di mettersi insieme, di unirsi, di tirare delle linee fra storie e comunità diverse, non è rotolato nella polvere.

La gente non se ne vorrebbe più andare, anche se la funzione è conclusa.

Poi suonano le sirene del porto e si capisce che è finita davvero.

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