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Fondi Expo per il tribunale Cantone manda la Finanza

Nel mirino 16 milioni stanziati senza gare d'appalto per servizi informatici. Che ancora non funzionano

Fondi Expo per il tribunale Cantone manda la Finanza

Milano - Appalti brevi manu nel tempio della giustizia e nel nome di Expo, sotto la regia del Comune di Milano: sono serviti tre anni dalle prime rivelazioni del Giornale e del blog Giustiziami ma qualcosa finalmente si muove sotto la cappa di indifferenza che ha accompagnato le notizie. Notizie chiare, evidenti, che disegnavano una incredibile disinvoltura nello spendere i fondi milionari assegnati dal governo alla giustizia milanese: ma in tutti questi anni si è fatto finta di niente.

Ieri, all'improvviso, la Guardia di finanza bussa alle porte del Comune di Milano, «stazione appaltante», ovvero regista e pagatore di quelle spese. Le fiamme gialle sono mandate da Raffaele Cantone, capo dell'Anac, l'autorità anticorruzione, sul cui tavolo era arrivato l'esposto firmato da due esponenti di punta della magistratura, il procuratore generale Roberto Alfonso e l'allora presidente della Corte d'Appello, Marta Malacarne. Sono loro alla fine dell'estate scorsa a mettere nero su bianco i sospetti venuti alla luce, dopo gli articoli di stampa, in una tempestosa riunione a Palazzo di giustizia dell'ottobre 2014, in cui venne messo sotto processo l'intero sistema di spesa dei fondi, e si decise di cambiare registro. Ma ormai il danno era fatto.

Si tratta di fondi per 16 milioni, provenienti in parte dal governo e in parte dal Comune di Milano: è Giuliano Pisapia, il 20 luglio 2011, appena insediato sindaco, a rimpolpare la dotazione. Da allora i soldi vengono spesi soprattutto in due direzioni: il nuovo sistema informatico, software e hardware destinati a diventare il cuore elettronico della giustizia milanese, e il sistema di segnalazione interna al tribunale, centinaia di grandi monitor perennemente accesi sul nulla. La fetta più grossa è la prima, e finisce quasi per intero in tasca a Finmeccanica, senza gara d'appalto, sulla base della «continuità» con appalti precedenti: è questo trucco della «continuità» il grimaldello che viene costantemente utilizzato, fino alla resa dei conti dell'ottobre 2014, per aggirare le norme sugli appalti. Un altro trucco è la interposizione di un soggetto privato, la Camera di Commercio, che non è costretto a seguire le regole dell'appalto pubblico e smista a suo piacimento gli appalti.

Chi è a gestire gli appalti? Expo non c'entra, nonostante i finanziamenti siano stati stanziati in suo nome. A dirigere tutto quanto è il Comune di Milano, che ha una sua struttura dedicata esclusivamente alle spese per gli uffici giudiziari. La struttura fa parte dell'assessorato ai Lavori pubblici, retto all'epoca dalla piddina Carmela Rozza, oggi assessore alla Sicurezza, ma rientrano in un capitolo di spesa, «beni e servizi», alle dirette dipendenze del sindaco.

A venire miracolata dagli appalti del Comune di Milano è anche un'altra società dell'orbita di Finmeccanica, la bolognese Net Service, cui i lavori vengono affidati con un'altra scusa: ha già l'incarico dal ministero della Giustizia per il «processo civile telematico», un'altra innovazione tecnologica anti scartoffie. Peccato che poi si scopra che Net Service ha approfittato di quell'appalto per impadronirsi anche del mercato «a valle», cioè i software per gli studi legali: per questo finisce nel mirino di un'altra Authority, l'Antitrust. L'inchiesta si conclude pochi giorni fa, il 27 gennaio: l'azienda bolognese viene costretta a dividersi in due tronconi e a mettere a disposizione dei concorrenti le sue conoscenze.

Il capitolo più surreale è però quello degli schermi senza senso: il costo dell'intero «sistema di segnalazione» passa da 732mila euro a un milione 559mila poi a 2.884.763 euro, e ancora non funzionano.

Insomma: una vistosa serie di disinvolture all'interno dell'istituzione, la giustizia milanese, che pretende il rispetto della legge: ma solo dagli altri.

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