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Il futuro del Cnel è lo scioglimento

Il futuro del Cnel è lo scioglimento

Mai risvegliare il Cnel che dorme. La notizia che il governo Gentiloni ha paracadutato Tiziano Treu al vertice del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, tenuto artificialmente in vita dal No al referendum ha sollevato molta incredulità, ma anche qualche domanda. La prima: ma come si potrà dare nuova vita ad un organismo già defunto da anni? La seconda: come è possibile che l'ex ministro di Prodi abbia ora accettato questo incarico contraddicendo quanto lui stesso sosteneva solo pochi mesi fa. Non era lui, infatti, che diceva che bisognava mettere la parola «fine» al Cnel approvando i quesiti costituzionali?

Ecco, quindi, un nuovo polverone, l'ennesimo, su quella che veniva pomposamente chiamata la «terza Camera», ma che, da anni (i disegni di legge che ha proposto si contano sulle dita di una mano), è un ente inutile. Subito dopo la nomina del professore, ho quindi svolto una piccola indagine per cercare di rispondere agli interrogativi appena sollevati. Forse a mente calda abbiamo sbagliato tutto perché molti addetti ai lavori pensano, piuttosto, che Treu sarà, invece, il commissario liquidatore di quello che è il vero prototipo dei carrozzoni di Stato anche se si può ancora fregiare dell'altisonante titolo di «organo di rilevanza costituzionale». In effetti, l'ex-ministro del Lavoro non potrà fare diversamente per una ragione molto semplice: i 7 milioni che sono rimasti di budget annuale se ne vanno tutti tra stipendi (5 milioni) e manutenzione della villa (2): oggi, quindi, non c'è più neppure un euro per i rimborsi-spese dei 22 consiglieri rimasti (su 64 previsti: per questo li chiamano «giapponesi»). Con questi chiari di luna, è, quindi, difficile immaginare che il governo Gentiloni possa essere davvero disposto a rifargli la dote.

Tanto più che la Corte dei Conti ha preso di mira i vecchi vertici per le consulenze d'oro e pure gli ultimi superstiti a causa delle diarie di missione percepite nel 2012 che dovrebbero essere restituite: con queste pesanti eredità, cosa potrà mai fare Treu se non pilotare il Cnel al suo ultimo viaggio? Anche perché il Consiglio è ancora in vita proprio per gli errori commessi da Renzi. Pur essendo, infatti, un organo costituzionale, non sarebbe stato necessario un referendum: bastava solo che la sua fine fosse stata decretata dal Parlamento con la maggioranza qualificata dei due terzi, ma il giovin Matteo ha voluto usare l'arma della sua soppressione come specchietto per le allodole per far vincere, il 4 dicembre, il «Sì»: battaglia inutile e il Cnel è rimasto sul groppone.

Adesso si tratterebbe di tornare al vecchio percorso del voto parlamentare: Treu sembra, quindi, l'uomo giusto per accelerare l'iter di scioglimento. E, in attesa degli eventi, c'è chi va e c'è chi resta: dovrebbe uscire definitivamente il segretario generale Franco Massi e, al suo posto, nonostante le pressioni interne, potrebbe arrivare Luigi Caso, magistrato della Corte dei conti, che lo stesso Treu conosce bene. Il precedente «numero uno», Delio Napoleone, resta, invece, come vicepresidente in attesa della chiusura del Cnel una Waterloo che farà risparmiare agli italiani 7 milioni di euro l'anno.

Prima erano molti di più.

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