Guerra in Israele

Il gas torna a infiammarsi. Ma le scorte sono ai massimi

Descalzi: "Più difficile emanciparsi da Mosca". L'Eni compie 70 anni, la premier Meloni: "L'energia parte del piano Mattei"

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«Celebrare i primi 70 anni di Eni significa celebrare di fatto anche 70 anni della nostra storia nazionale», dice il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni secondo cui «oggi la crisi energetica può diventare un'opportunità» potendo il Paese «ambire a diventare l'hub naturale di approvvigionamento energetico dell'intera Europa. «L'energia», aggiunge è una «chiave per costruire un partenariato paritario e vantaggioso per tutti» con i paesi dell'Africa, ed è «uno dei tasselli» del Piano Mattei. Ma Claudio Descalzi, amministratore delegato del gruppo, avrebbe forse preferito un altro momento per festeggiare la lunga vita del Cane a sei zampe. A un conflitto già in corso, se n'è infatti aggiunto un altro: entrambi hanno implicazioni sul versante energetico e rimettono ancor di più al centro la questione della sicurezza degli approvvigionamenti, rendendo «più complesso» sostituire il gas russo. Anche se l'Italia ha da tempo avviato un percorso di affrancamento dalle forniture russe di metano, giunto ora quasi al traguardo. «L'anno scorso - spiega Descalzi - abbiamo avuto il 50%, ci stiamo avvicinando all'80% di rimpiazzo del gas e abbiamo detto e confermiamo quindi che nel 2024-25 arriveremo al 100%». Il totale distacco da Mosca consentirà di far premio su «una domanda che resta anelastica», ma fin d'ora «abbiamo tanti Paesi e oltre al gas da pipeline anche Lng (il gas naturale liquefatto, ndr)» che permettono «stoccaggi pieni al 95-96%, mai così pieni prima d'ora».

Le scorte danno sicurezza in termine di erogazione delle forniture, ma restano anche l'elemento fondamentale per parare i colpi che possono arrivare dal mercato in momenti, come questo, di forte instabilità. I future del gas trattati ad Amsterdam sono infatti tornati ieri sui massimi da metà giugno per due motivi: i sospetti della Finlandia per un possibile atto di sabotaggio dietro la perdita del gasdotto Baltic Connector, che la collega con l'Estonia; e in scia ai timori per lo stop deciso da Israele al giacimento offshore Tamar che esporta gas verso l'Egitto (che a sua volta lo «veicola» in Europa sotto forma di Lng) e la Giordania e alimenta i consumi domestici di Israele. Dopo un picco a +7,3%, i prezzi si sono stabilizzati a 46,35 euro al megawattora (+5,4%). In calo invece di circa l'1% le quotazioni del petrolio, col Wti sceso a 85,9 dollari il barile e il Brent a quota 87,4, mentre le Borse si sono mosse al rialzo (+2,3% Milano, +2% lo Stoxx600, +0,8% Wall Street a un'ora dalla chiusura) dopo le dichiarazioni di alcuni governatori della Fed che lasciano intendere che la banca centrale Usa lascerà invariati i tassi nella riunione del primo novembre.

Se il conflitto fra Hamas e Israele dovesse continuare, un andamento ondivago dei mercati deve comunque essere in conto. Non a caso, Descalzi si mostra cauto: «La guerra è terribile, ma l'impatto sulla produzione di gas è marginale e sono tutti gli schemi e le possibili conseguenze che preoccupano il mercato. Bisogna capire l'evoluzione». E c'è da sperare che l'evoluzione sia positiva. Armi che tacciono risparmiano vite umane, con ripercussioni positive sui costi dell'energia in un momento in cui l'inflazione morde ancora. Ma non solo. Prezzi elevati sono anche il nemico numero uno della migrazione verso il «green», poiché «la gente non vuole pagare prezzi alti e potrebbe quindi rivoltarsi contro la transizione, che vede come la causa dell'aumento dei prezzi». Dopo 70 anni in cui Eni ha accompagnato la sua crescita e la sua trasformazione con «importanti investimenti in ricerca e sviluppo», nel suo futuro ci sarà sempre meno petrolio e sempre più gas.

Soprattutto quello «da noi prodotto - conclude Descalzi - rispetto a quello acquistato da terzi: per essere presenti sull'intera catena del valore e consolidare il nostro rapporto con i Paesi in cui operiamo».

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