Guerra in Israele

A Gaza gli aiuti degli Usa. Netanyahu non si ferma

Biden non vuole che Israele usi a Rafah le armi americane e prepara un porto speciale. Il capo della Cia vola a Doha

A Gaza gli aiuti degli Usa. Netanyahu non si ferma

Ascolta ora: "A Gaza gli aiuti degli Usa. Netanyahu non si ferma"

A Gaza gli aiuti degli Usa. Netanyahu non si ferma

00:00 / 00:00
100 %

Ogni ora che passa una possibile tregua in Medioriente diventa sempre più complicata. Pressoché impossibile al momento ipotizzarla entro l'inizio del Ramadan di domenica anche se qualcosa continua a muoversi. Tra i ricatti e l'intransigenza di Hamas, che ha lasciato il tavolo del Cairo pur sostenendo che «gli sforzi continuano», e la posizione di Israele che pone il rilascio degli ostaggi come condizione imprescindibile per procedere al negoziato, tutto rimane tragicamente fermo. Perché il conflitto prosegue senza sosta e, anzi, potrebbe vedere un'escalation da un momento all'altro con l'assedio di Rafah dietro l'angolo nonostante le crescenti pressioni internazionali su Israele. Sempre più forti, soprattutto dal principale alleato dello Stato ebraico, gli Stati Uniti.

Tanto che nel timore che un disastro umanitario possa influire (anche) sull'immagine di Biden in vista delle prossime elezioni, Washington starebbe valutando come impedire a Israele di utilizzare perlomeno le armi già inviate (almeno 100 le forniture già consegnate) nell'eventuale attacco a Rafah. Non è solo immagine, basti pensare al caso Hawaii dove Joe ha vinto le primarie presidenziali ma ben il 29 per cento ha votato l'opzione «uncommitted» (non impegnato), proprio per protesta nei confronti della crisi a Gaza. Secondo il Washington Post, Biden proverebbe «frustrazione» verso Netanyahu e sarebbe molta e diffusa la preoccupazione per la crisi umanitaria. «Se Israele lanciasse un'offensiva a Rafah senza proteggere adeguatamente la popolazione civile sfollata, ciò potrebbe far precipitare una crisi senza precedenti nelle relazioni Usa-Israele», ha spiegato l'ex ambasciatore americano in Israele Martin Indyk. Se le quotazioni di un'ipotesi diplomatica calano, eccone una, forte, interamente made in Usa. «Per gli aiuti umanitari Biden non ha voluto aspettare Israele», riferiscono dalla Casa Bianca con il passo più deciso dovrebbe arrivare nelle prossime ore. Il presidente dovrebbe annunciare un piano, a comando delle forze armate americane, per la creazione di un porto temporaneo sulla costa di Gaza. Truppe Usa costruiranno un molo per consentire un maggiore afflusso di cibo, medicine e altri beni essenziali, operazione che segue l'annuncio dello stesso Biden di creare un corridoio marittimo o per aiutare i civili allo stremo. Con Israele che, almeno ufficialmente, non si oppone all'iniziativa.

Ma la fuga in avanti americana potrebbe concretizzarsi anche riguardo la trattativa Israele-Hamas. Se il tavolo del Cairo sembra ufficialmente chiuso, dopo la partenza dall'Egitto il direttore della Cia William Burns è arrivato ieri a Doha, dove avrà colloqui ufficiale con il premier del Qatar Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al Thani. Le manovre dunque proseguono. Nell'ombra ma non solo, con gli Stati Uniti che sembrano sempre più decisi nell'avere un ruolo chiave, anche a costo di di mettersi di traverso rispetto alle posizioni israeliane. Se non è uno strappo poco ci manca ma il premier israeliano Netanyahu tira dritto. «Il nostro esercito continuerà a combattere contro tutti i battaglioni di Hamas, anche a Rafah, l'ultima roccaforte di Hamas. Chi ci dice di non agire là, ci chiede di perdere la guerra. Questo non avverrà», ha tuonato Bibi, facendo intendere chiaramente che non cederà a nessuna pressione esterna, di fatto scegliendo l'isolamento. Visto che anche dall'Europa arrivano pressioni contrarie con l'Alto rappresentante Josep Borrell che chiede una mobilitazione internazionale perché «Israele garantisca il libero accesso umanitario alla terra e non blocchi i convogli». Un caos globale in cui Hamas, specie sugli ostaggi, sguazza e prosegue nel suo ricatto senza nemmeno fornire l'elenco di quelli ancora in vita.

Nel frattempo resta tesissimo anche il fronte Hezbollah. Ieri era emersa l'ipotesi di un ultimatum di Israele ai miliziani libanesi. Una settimana di tempo per abbandonare il campo ed evitare una reazione dura dello Stato ebraico.

In serata la notizia è stata smentita ma il susseguirsi di voci e minacce che si sovrappongono ad attacchi e pressioni in una costante emergenza umanitaria non semplifica certo la situazione.

Commenti