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Gentiloni il tappabuchi: fu ministro di terza scelta

Il suo nome per gli Esteri un ripiego dopo il no del Colle alle proposte di Renzi

Gentiloni il tappabuchi: fu ministro di terza scelta

Roma Basso profilo, versatilità e alto rendimento. Il futuro premier in pectore Paolo Gentiloni è l'uomo delle sorprese, il coltellino svizzero della politica italiana. E, negli ultimi tempi, l'utile tappabuchi per incarichi di vario prestigio, la soluzione perfetta per togliersi d'impaccio senza creare problemi.

È successo già nell'autunno di due anni fa. Con Federica Mogherini divenuta lady Pesc e in procinto di volare a Bruxelles, Renzi doveva trovare un sostituto per la Farnesina. Il totonomine scommetteva sull'equilibrio di genere: donna per donna. E dunque Marina Sereni, Marta Dassù, Simona Bonafé, o la «tecnica» Elisabetta Belloni, fino all'outsider Lia Quartapelle, indicata come favorita di Renzi. Fuori dalle quote rosa, la soluzione interna sembrava Lapo Pistelli, e si facevano i nomi come papabili di Sandro Gozi e persino di Pierferdinando Casini. Di Gentiloni nemmeno l'ombra, nemmeno un rumor collaterale, un timido accenno minoritario.

Però il 31 ottobre, a sorpresa, a giurare da Napolitano ci andò proprio lui, diventando così il nuovo ministro degli Esteri nell'esecutivo renziano, alla faccia di ogni pronostico. Ennesima medaglia di una carriera nel segno dell'understatement che lo ha portato per due volte a capo di un dicastero (la prima volta con Prodi alle Comunicazioni) e che, adesso, potrebbe riservare a questo politico di lungo corso l'onore - e l'onere - di diventare presidente del consiglio, seppure a tempo determinato. O forse proprio perché a termine. Chi c'è in giro di più adatto del poco ingombrante Gentiloni per occupare quella poltrona nel momento più scomodo? Dover traghettare la legislatura verso le urne, con i venti anticasta che soffiano nel Paese e ringhiano senza alcuna empatia verso la certezza di un quarto premier non legittimato da un voto popolare non è roba attraente per chiunque.

Ci vuole un certo talento per affrontare la sfida. Serve la capacità di non dar fastidio a nessuno, restando nell'ombra e incarnando, in un certo senso, la natura profonda dell'Italia. Cattolico e comunista, nobile di nascita ma proletario di ambizione (giovanile), ecumenico quanto basta per essere «unanimamente apprezzato», proprio per la sua capacità di non dare nell'occhio, di passare inosservato. Un cardinale defilato per vocazione, sempre fuori dalle liste dei papabili per poi trovarsi Pontefice tra il generale stupore (degli altri). Sembra l'identikit del premier di transizione che ha in mente Mattarella. E infatti è su di lui che scommettono tutti.

La novità è che stavolta lui è già il favorito. Il tappabuchi, invece, di solito si cerca alla bisogna, quando le altre possibili soluzioni si sono rivelate inefficaci.

Ma i favori del pronostico, probabilmente, non basteranno a sabotare Gentiloni.

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