Magistratura

Gesto libero o razzista? Ora sul saluto romano deciderà la Cassazione

La Procura generale affida il quesito alle Sezioni Unite, dopo una condanna a capi dell'ultradestra

Gesto libero o razzista? Ora sul saluto romano deciderà la Cassazione

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Fascismo e razzismo sono la stessa cosa, perché già prima della promulgazione delle leggi razziali il movimento fondato da Mussolini aveva nel suo Dna la discriminazione su base etnica: è anche sulla base di questa tesi che il tribunale di Milano, nelle motivazioni depositate nei giorni scorsi, spiega la condanna di tredici militanti dell'ultradestra che il 29 aprile 2018 parteciparono alla marcia che si concluse con l'appello «Presente!» in una selva di saluti romani vicino al luogo dell'uccisione nel 1975 del militante del Fronte della Gioventù Sergio Ramelli.

È un'altra puntata del lungo alternarsi di sentenze in cui cortei praticamente identici dell'ultradestra sono stati dichiarati a volte legittimi, e a volte colpiti con condanne. L'incertezza giudiziaria dovrebbe essere prossima alla fine: il prossimo 18 gennaio saranno le Sezioni Unite della Cassazione a stabilire una volta per tutti se salutare romanamente costituisca un reato o sia libera manifestazione del pensiero.

Dell'incertezza, e dell'attesa della decisione della Cassazione, dà atto anche la sentenza che ha punito i tredici incriminati per l'episodio di cinque anni fa. Il tribunale presieduto da Ilio Mannucci ha condannato a quattro mesi di carcere, rifiutando le attenuanti generiche, tutti i partecipanti individuati dalla Digos al tradizionale corteo in memoria, oltre che di Ramelli, anche di Carlo Borsani, ucciso dai partigiani nel 1946, e di Enrico Pedenovi, assassinato da Prima Linea nel 1975. Tra i condannati, ci sono i leader dei tre gruppi che diedero vita all'iniziativa: Lealtà e Azione, Casa Pound e Forza Nuova.

Ad aggravare il reato, nelle motivazioni - redatte dal giudice Luigi Varanelli - si indica anche quanto avvenne dopo il corteo, quando un gruppo si recò a lanciare fiori sul punto, in piazzale Loreto, dove vennero esposti i corpi del Duce e dei suoi gerarchi. Ma a giustificare la condanna basta quanto avvenne prima. Citando il Dizionario di politica edito nel 1940 su ordine di Mussolini, il tribunale indica il grido «Presente» tra le manifestazioni esplicitamente fasciste punite dalla legge; e, citando Umberto Eco e la sua definizione di «fascismo eterno», individua nel corteo del 2018, rischi concreti di ricostituzione del partito fascista «non in senso eminentemente storico ma attualizzato in continuità ideale». Nel comportamento dei tre gruppi dell'ultradestra, i giudici vedono anche il reato di «esibizionismo razzista» punito dalla legge Mancino. Dicono in sostanza i giudici: per essere razzisti basta essere fascisti, perché il fascismo già dagli esordi, e dalle campagne africane imponeva un «regime segregazionista».

Condanna per tutti, dunque. In attesa che a gennaio la Cassazione faccia un po' di chiarezza. A invocare una sentenza definitiva è stata la Procura generale, dopo avere chiesto l'annullamento delle condanne di altri estremisti milanesi. Alle Sezioni Unite viene chiesto di stabilire se quello di «manifestazione fascista» sia un reato di pericolo astratto, o se per punire il saluto romano sia necessaria la «previa identificazione della partecipazione di esponenti di una associazione oggi esistente che propugni i medesimi ideali».

Se passasse questa seconda interpretazione, in numerose circostanze il saluto e il «Presente!» potrebbero venire sdoganati.

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